«Di perdere il patrimonio di conoscenza e scoperte maturato in 20 anni di lavoro non se ne parla. È per questo che di fronte alla decisione di Cell Therapeutics, di chiudere lo stabilimento di Bresso abbiamo detto tutti insieme: piuttosto lo rileviamo noi», racconta Paola Nicoli, chimica, 39 anni, da dieci ricercatrice della multinazionale americana che si occupa di clinica e preclinica nel ramo oncologico.
A Bresso, nell’area Zambon, ha sede lo stabilimento di Cell Therapeutics dove lavorano 62 persone, di cui 56 ricercatori: l’età media è di 40 anni. Per loro è inaccettabile la proposta della società americana che vuole trasformare la missione del sito lombardo: non più di ricerca, ma commerciale. Se per la casamadre non sarebbe più strategico mantenere il laboratorio di preclinica di Bresso, per i ricercatori le cose stanno in un modo ben diverso. «Il nostro è un gruppo di ricerca molto affiatato che negli anni ha dimostrato di saper fare squadra. Ci sono persone che lavorano qui da 20 anni, quando è arrivata la Boehringer, a cui poi è subentrata la Roche e la Novuspharma. Nel 2004 è arrivata Cell Therapeutics».
I 62 del sito di Bresso, con molto orgoglio per i risultati raggiunti – «il pixantrone che la Cell Therapeutics si accinge a lanciare sul mercato americano è stato inventato a Bresso», spiegano – e con la consapevolezza del loro valore sul mercato – «siamo abituati a confrontarci con una realtà internazionale e sappiamo bene qual è il livello delle nostre competenze», dicono – si sono incontrati varie volte, hanno discusso e alla fine hanno deciso di lanciare all’azienda una proposta: «Rileviamo noi il sito di Bresso».
Proprio oggi in Assolombarda a Milano, ci sarà un incontro che rappresenta la prima tappa del progetto dei ricercatori. Per portare avanti la loro operazione che tecnicamente definiscono di "management buy out", i 62 ricercatori hanno bisogno del sostegno degli enti pubblici e dei privati. Con la Provincia di Milano è stato avviato un contatto per la nascita di un polo di ricerca che vedrebbe il sito di Bresso come l’anello di congiunzione tra la ricerca farmaceutica di base e lo sviluppo clinico. «Questa non sarebbe solo un’opportunità di continuare a lavorare per noi – spiega Nicoli – ma anche il modo per non disperdere quel patrimonio di conoscenze che sono state acquisite in 20 anni di lavoro da un gruppo molto coeso e che è stato in grado di fare scoperte che gli hanno dato visibilità internazionale».
C.Cas.
Il Sole 24 Ore del 06/03/2009 p. 22 MILANO
AF