N.d.R.: Riportiamo un articolo che ripercorre vari scandali avvenuti in Emilia Romagna. Fra questi viene ripreso il cosiddetto “Caso Pasimafi” che ha visto fra gli imputati il Prof. Fanelli, Direttore della Terapia del Dolore all’ospedale Maggiore di Parma. Nell’articolo si dice testualmente: “A fine 2018 il PM Amara, coordinato dalla collega Paola Dal Monte, deposita 75 richieste di rinvio a giudizio: 65 persone, tra medici, dirigenti di case farmaceutiche e informatori scientifici, e 10 società”.
L’articolo vuol dimostrare che le inchieste su presunti scandali sono state “montate” e si sono concluse con assoluzioni.
È bene precisare, indipendentemente dalle assoluzioni, che nessun informatore scientifico del farmaco era implicato in questa vicenda neanche come indagato né è stato oggetto di richiesta di rinvio a giudizio. Anzi è bene sapere che l’illustre Prof. Fanelli non riceveva ISF, forse non degni di andare al suo cospetto. Riceveva invece dirigenti aziendali, direttori marketing e qualche area manager. Nessuno di questi è ISF. Inoltre è bene sapere anche che gli ISF dipendono da un servizio scientifico. La stampa, ignorando chi sono e cosa fanno gli ISF, aveva definito come tali altre figure professionali che nulla hanno a che fare con gli ISF.
Non entriamo nel merito del resto dell’articolo la cui responsabilità ricade unicamente su chi l’ha scritto
Pasimafi, Volume VII: “Così Parma è diventata la Levante dei Nas”
Come la fama di successo e risultati può far deviare dalla vera mission…
C’era una volta un re, che disse alla sua dama, raccontami una fiaba. E la dama cominciò”.
Ma più che una fiaba, quello che la nostra dama racconta è una verità scomoda e brutta. È brama di potere, voglia di andare in prima pagina, di guadagnare encomi e promozioni.
Qual è il prezzo ? Aziende finite in bancarotta e famiglie distrutte? Non importa se lo scopo è avere una prima pagina e i canonici 15 minuti di celebrità. Ruolo da coprotagonista, ovviamente, chi scrive le prime pagine e dona la celebrità: la stampa.
Quella asservita ma anche quella libera, accecata dal clamore e dalle tante certezze delle retate, ha gareggiato nel titolo più altisonante e violento perché i tutori dell’ordine che dovevamo rendere giustizia, avevano detto che “Mister X” fosse un criminale efferato. Anche se ci sono voluti anni per capire che non fosse così.
La nostra fiaba inizia con la professoressa Modena. Troppo femmina, troppo bella, troppo eccellente per essere accettata dalla mediocrità provinciale emiliana. Per essere tollerata.
Di lei vi abbiamo raccontato. Impossibile dimenticare “Camici Sporchi”. Il 9 novembre 2012, all’alba, su ordine del GIP del Tribunale di Modena, 150 carabinieri del NAS di Parma, in dieci Regioni, arrestano 9 cardiologi, eseguendo 33 perquisizioni e applicando la misura di divieto di contrattare con la Pubblica Amministrazione per 12 aziende, di cui la metà straniere, che producevano attrezzature sanitarie, applicando l’interdizione all’esercizio dell’attività nei confronti di 7 persone. 70 gli indagati.
Nel settembre 2013 i magistrati chiedono il rinvio a giudizio per 34 indagati: 14 medici, 20 amministratori, 15 società nel settore biomedicale. Ad aprile 2021, dopo 8 anni, con la rinuncia della Procura di Modena al ricorso in Cassazione, viene confermata l’assoluzione per tutti gli indagati. È il primo di una trilogia di flop.
Poi Dialbolik. La ricca Parma. Il paesone dove tutti sanno tutto di tutto. La mediocrità come legge di vita, scelta di sopravvivenza. Le strade del salame, il culatello ed il parmigaino le uniche eccellenze concesse. Questa volta finisce sotto il tiro del NAS di Parma il Centro dialisi di Fornovo.
Il primo aprile del 2016, dopo aver individuato un nome altisonante per l’inchiesta, i carabinieri del NAS di Parma arrestano, su mandato del pm Amara, l’amministratore e la caposala del centro dialisi. Misure interdittive per la direttrice sanitaria del centro, un sequestro finalizzato alla confisca, 7 indagati. Furono tutti rinviati a giudizio e tutti assolti a Gennaio 2020 ed in via definitiva dopo la rinuncia al ricorso in appello da parte della pm del dibattimento Dott.ssa Francesca Arienti.
E infine Pasimafi. Sbadabam. Un centro del dolore al top, guidato da un luminare non emiliano e non politicizzato. Non sia mai! Tutto verrà distrutto con i pazienti abbandonati a loro stessi.
Un breve riassunto per chi si fosse perso qualche puntata di questa inchiesta, denominata Pasimafi dal nome dell’imbarcazione del principale imputato, il professor Guido Fanelli.
Il tandem investigativo è sempre lo stesso: Giuseppe Amara e i carabinieri del NAS di Parma.
L’8 maggio 2017, anche questa volta all’alba, 200 carabinieri danno il via ad una delle più grandi retate di medici e imprenditori operanti nel settore della commercializzazione e della promozione di farmaci e di dispositivi medici. Gli inquirenti ipotizzano corruzioni per oltre mezzo milione di euro.
Gli arrestati sono 19, gli indagati a piede libero 75.
A fine 2018 Amara, coordinato dalla collega Paola Dal Monte, deposita 75 richieste di rinvio a giudizio: 65 persone, tra medici, dirigenti di case farmaceutiche e informatori scientifici, e 10 società.
Il 5 novembre 2019, il GUP del Tribunale di Parma trasferisce il 70% dei capi di imputazione per competenza territoriale alla Procura di Lecco, un ulteriore 10% è stralciato verso la Procura di La Spezia.
Il 10 marzo del 2020 il tribunale di Lecco archivia la posizione di tutti gli indagati “per notizia di reato infondata“. Per Fanelli si segnala “l’assenza di atti corruttivi”. Il 24 febbraio 2021 anche il Tribunale di La Spezia archivia le accuse per “notizia infondata di reato”. Per il 20% delle accuse rimaste a Parma l’inizio del processo è previsto per il prossimo 18 giugno.
Il protagonista di questa brutta fiaba? Sempre gli stessi.
Chi? I carabinieri del NAS di Parma. Nati per proteggere le eccellenze alimentari, diventati affamati di scandali sanitari.
Con loro, la Procura “che per viltade fece il gran rifiuto”, direbbe Dante. In questo caso accondiscendete, inerme. Non indaga, prende tutto per buono. È accusa senza essere inquirente. In cambio, promozioni ed encomi a pioggia.
Conosciamo meglio questi tutori della sanità pubblica. Facendo un piccolo confronto con altri tutori, quello dell’ordine pubblico della stazione carabinieri di Piacenza Levante, tristemente noti per il modo con cui svolgevano le indagini nei confronti di pusher e spacciatori.
Nell’ordinanza del gip che ha arrestato i “tutori dell’ordine pubblico” di Piacenza,
Alla base delle loro condotte c’era la spregiudicata voglia di far carriera, la loro e quella dei superiori che ne alimentavano le iniziative con un solo scopo: fare più operazioni ed arresti possibili. I carabinieri della caserma Levante vennero anche premiati, nel corso della cerimonia per i 204 anni di Fondazione dell’Arma organizzata nel giugno 2018 a Bologna, “per essersi distinti per il ragguardevole impegno operativo ed istituzionale e per i risultati conseguiti soprattutto nell’attività di contrasto al fenomeno dello spaccio di sostanze stupefacenti”.
Sotto l’egida dello Stato, scrisse il gip, era stata alimentata un’illecita attività di infiltrazione e di informazione sulle attività di spaccio in città, tramite informatori arruolati tra gli stessi carabinieri, pagati per il servizio con i proventi dei sequestri effettuati grazie alle loro soffiate: l’uso di metodi illeciti quali lo spaccio e la violenza per un fine superiore quale la lotta al crimine, da sconfiggere violando la legge.
Ma quale era l’obiettivo dei carabinieri NAS di Parma? Il medesimo. Ottenere il maggior numero di arresti di un diverso target: non gli spacciatori ma i colletti bianchi: professori universitari, ricercatori, primari, medici, infermieri, amministratori di società farmaceutiche e di dispositivi medici. Il tutto, come per la Levante, al fine di incrementare le statistiche operative e gratificando se stessi, i propri superiori, i pm che ottenevano l’agognata celebrità.
Nella Levante il capo banda era l’appuntato Montella che aveva trascinato gli altri colleghi nel compiere atti criminali ed aveva isolato chi non si conformava al sistema.
E fra i carabinieri dei NAS di Parma chi era il leader di questo gruppo indipendente, isolato rispetto al resto dei colleghi che hanno continuano ad operare con diligenza e accuratezza, che ha perseguito l’obiettivo di incarcerare il maggior numero di colletti bianchi raggiungendo numeri da capogiro in sole tre inchieste, 30 arrestati e oltre 150 indagati?
Il suo nome è noto, si tratta del maresciallo capo Giandomenico Nupieri, coadiuvato dai colleghi Michele Nobile e Bruno Cosentino.
Diciamo subito, per evitare fraintendimenti, che Nupieri non è indagato. Siamo felici per lui. Qui ci interessa solo evidenziare gli elementi in comune con Montella.
Come l’appuntato di Piacenza, Nupieri non riesce a trattenere il desiderio di mostrare pubblicamente sui social il proprio status raggiunto: Rolex, auto di lusso, vini pregiati, vestiti di alta sartoria, sigari introvabili, pietanze stellate ed il culto del proprio fisico e della propria superiorità intellettuale e morale, attraverso una ostentazione autocelebrativa del proprio credo, come ad esempio la Croce di Ferro del proprio anello utilizzata durante la Germania nazista o il tatuaggio riportante il motto “Memento Audere Semper” (Ricorda di osare sempre), in voga negli ambienti di estrema destra. È normale che un carabiniere pubblichi simili foto? Non esiste un codice di comportamento per gli appartamenti all’Arma?
Nupieri, come Montella, non è solo: le responsabilità sono da spartire coi i suoi superiori che gli hanno permesso di condurre inchieste con centinaia di indagati e decine di arrestati incrementando le statistiche del Nucleo.
Il primo è il capitano Angelo Balletta, che si fece ritrarre insieme a lui per il settimanale Gente a pochi giorni dell’arresto della professoressa Modena. Otterrà il grado di Maggiore e sarà promosso al Comando provinciale di Piacenza diventando il più stretto collaboratore del colonnello comandante.
Poi il capitano Gianfranco Di Sario, il successore, particolarmente portato a farsi riprendere dalle tv e a dare interviste, colse il vantaggio mediatico-giudiziario derivante da Pasimafi per ottenere anche una celebrità fuori dai confini nazionali. Di Sario è uno dei pochissimi carabinieri, se non l’unico, ad essere finito su Associated Press, la prima agenzia di stampa internazionale.
Risultati altisonanti. Sbandierati. Perchè le prime pagine, come detto, piacciono a tutti.
E veniamo ai pm.
Il primo è certamente l’ex procuratore di Modena Vito Zincani, che con la vicenda Camici Sporchi contava di chiudere in bellezza la lunga carriera di magistrato e a cui la professoressa Modena nel suo libro “Il Caso Cardiologia … La Verità” attribuirà l’epiteto di “principal investigator”, termine usato nell’inchiesta per definire il responsabile coordinatore di una sperimentazione clinica.
La “sperimentazione” fu in realtà svolta dalla Procura, come confermato da chi aveva sostituto Zincani, la dottoressa Lucia Musti, in una intervista dopo l’assoluzione definitiva della professoressa Modena in Cassazione.
Il copione si è ripetuto con Dialbolik e con Pasimafi. Difficile non ricordare cui il procuratore Salvatore Rustico, supportato dai carabinieri dei NAS e dal pm Amara, impegnato in una spettacolare conferenza stampa presso il salone di rappresentanza del Palazzo Ducale.
Il 18 giugno 2021 è prevista l’udienza di quel poco dell’inchiesta Pasimafi rimasta stampellata a Parma.
Sarà interessante vedere, come già accaduto in passato, Nupieri sedersi al banco dei pm, non più solo al fianco di Amara, ormai trasferito a Modena anche se aggregato alla Procura di Parma per questo dibattimento, ma a quello della intransigente Paola Dal Monte, che ha dimostrato, nel passato, di non concedere all’Arma alcuna attenuante a comportamenti devianti che possano essere distonici rispetto ad un idea di equilibrio imparzialità e fermezza che la giustizia deve avere con tutti compresa la Polizia Giudiziaria.
Come in tutte le fiabe, si spera però nel lieto fine. Che vincano i buoni. Che trovi pace avendo almeno giustizia chi ha perso patrimoni, aziende e carriere. A volte la vita. Che abbiano giustizia quei pazienti che credevano in un medico, e con lui hanno perso speranze e terapie.
Vittime vere. Prime vittime della fame di potere di chi dovrebbe nutrirsi di giustizia.
Per loro questa battaglia è solo all’inizio.