Se la sanità dimentica l’innovazione. La nuova governance farmaceutica secondo Pani
Il ministro della Salute Giulia Grillo ha condiviso il Documento in materia di governance farmaceutica che detta nuove regole per la sanità e per il comparto farmaceutico. Due miliardi di euro i tagli previsti nel Documento, che mira al miglioramento della sostenibilità del Sistema sanitario nazionale. Ma c’è davvero questo margine di risparmio? E il Documento tiene conto della grande portata innovativa che il settore farmaceutico porta con sé? Per capirne di più, abbiamo parlato con Luca Pani, farmacologo, medico, psichiatra, scienziato, esperto di biologia molecolare ed ex direttore generale dell’Agenzia italiana del farmaco (Aifa)
Cosa promuove e cosa boccia del nuovo Documento in materia di governance farmaceutica?
Il documento contiene punti di governance che non sono una novità e hanno riguardato l’attenzione a vario titolo di praticamente tutti i direttori generali dell’Aifa, compreso il sottoscritto. Per altro in molti passaggi, si tratta di attività assolutamente ordinaria dell’Agenzia, ancorché questa non sia adeguatamente percepita esternamente dal punto di vista tecnico. Mi fa molto piacere che il documento fissi argomenti di governance come gli accordi prezzo-volume a cui ho voluto dare la prima applicazione su larga scala e di grande impatto economico proprio con i medicinali innovativi per la cura dell’epatite C; senza quell’accordo ad oggi avremmo speso ben più del doppio di ciò che abbiamo poi speso.
Però? Sembra ci sia un però…
Sì, perché detto questo penso che gli accordi prezzo-volume siano rudimentali se non francamente banali per gestire le nuove terapie in arrivo. In effetti quello che più mi preoccupa è la riproposizione di una visione della farmacologica ormai totalmente superata. Una visione che poggia su logiche che andavano bene forse per governare il mercato farmaceutico nel secolo scorso e che sembrano ignorare come e quanto la ricerca e sviluppo di nuovi medicinali sia completamente cambiata. Aifa promuove e protegge la salute dei cittadini tramite l’uso appropriato e consapevole dei medicinali e invece, mettendola sotto vincoli economici peraltro obsoleti, si ritarderà matematicamente la disponibilità di medicinali e si escluderanno dalle terapie pazienti che potrebbero avere una prognosi migliore.
Il ministro Grillo ha parlato di risparmi pari a circa 2 miliardi di euro. Secondo lei c’è margine per un risparmio del genere?
C’è sempre margine per ottenere risparmi, spero che chi ha fatto fare al Ministro un’affermazione cosi altisonante abbia fornito nei dettagli i parametri di misura per monitorare i risparmi altrimenti è una sparata al vento. L’importante è avere la consapevolezza che risparmiare sui farmaci genera due conseguenze potenzialmente pericolose proprio per l’economia.
Quali?
La prima è il taglio dei prezzi, diretto o indiretto sul fatturato, che rende l’Italia un paese poco attrattivo in termini di sperimentazioni cliniche anche molto avanzate (in cui si usano farmaci pagati dalle aziende farmaceutiche per provare a curare pazienti generalmente senza alternative di cura). Inoltre, nel caso delle multinazionali, penalizza sensibilmente gli investimenti verso le filiali nazionali (e incidentalmente a favore dei suoi dipendenti) rispetto a quelle in altre nazioni. Anche se ho sempre pensato, e lo credo ancora, che i tassi di occupazione dell’industria nazionale del farmaco non debbano interferire con le negoziazioni in Aifa, tuttavia non tenere conto di tutto questo nello scenario post-Brexit è un’altra prova di miopia tecnica e politica.
Ci spieghi meglio…
L’Inghilterra è il primo Paese per sperimentazioni cliniche di Fase 1, il secondo per quelle di Fase 2 e il terzo per quelle di Fase 3. Tra tre mesi tutte queste risorse sia economiche che scientifiche andranno allocate altrove. Chi ha scritto il documento lo sa? E sa quante centinaia di milioni di euro all’anno valga tutto questo?
E il secondo problema?
Il secondo problema è il taglio dei consumi, quando si ostacola il consumo di un medicinale efficace, gli standard di tutela della salute si riducono. Questo è una conseguenza certa per medicinali ad alto prezzo che non potrebbero essere acquistati dal comune cittadino di tasca propria. Per cui la vera domanda è, al di la della affidabilità della previsione che sarà tutta da verificare e su cui nutro enormi dubbi, è chi pagherà veramente questi 2 miliardi di euro?
Si parla sempre più spesso di sostenibilità del Sistema sanitario nazionale, comprensibilmente. Ma parlando solo di criterio economico, non si sta perdendo un po’ di vista la centralità del paziente, con tutte le sue peculiarità?
Mi sembra che da un lato si proclami la centralità del paziente per imbonire chi ci vuole credere, mentre dall’altro si sottoscrivono norme che negli ultimi anni hanno in verità definanziato il Ssn. Se si parlasse di criteri di valore invece che di costo, già sarebbe un argomento positivo, come abbiamo scritto di recente con Gilberto Corbellini (cfr. Prescrivere valore. Storia e scienza dei farmaci che fanno vivere più a lungo e meglio, Edra, Milano 2017). Il punto è che anche un finanziamento inadeguato è un danno alla centralità del paziente.
Lei in passato ha lamentato il fatto che il tema della governance farmaceutica venga affrontato in Italia solo in termini economici o amministrativi mentre ci si dovrebbe concentrare maggiormente sul campo della salute e dell’innovazione. Le sembra che sia stato fatto?
Si dice con una battuta ormai un po’ stucchevole che il destino dei Regolatori sia di quelli infelici: se approvano le medicine troppo in fretta è perché sono amici di Big-Pharma mentre, se le approvano troppo lentamente, è perché sono nemici dei pazienti. Tertium non datur. Non credo, comunque, che possiamo riferirci ai regolatori/pagatori che in Italia siedono, da decenni sempre gli stessi, in commissioni e comitati vetusti sia nelle conoscenze che nelle procedure o di quelli che si affaticano a riscrivere linee-guida che raccomandano l’ovvio e ignorano il futuro che si fa presente alla velocità della luce. Entrambi non sono adatti e altri in giro ne vedo molto pochi. Questo costituirà un problema perché, come ho detto, i nuovi prodotti medicinali hanno delle preparazioni, formulazioni e somministrazioni totalmente diversi da quelli a cui siamo stati abituati negli ultimi 50 anni e bisogna essere molto competenti per dargli una giusta valutazione sia scientifica che economica.
E quindi come si dovrebbe intervenire?
Io scrissi il primo algoritmo per valutare l’innovazione un mese dopo dal mio insediamento nel dicembre del 2011; nonostante venne ampiamente discusso nelle commissioni e in CdA fu sempre difficile metterlo in atto per la forte opposizione di coloro che ancora oggi siedono negli stessi luoghi. Per iniziare a parlare di innovazione bisognerebbe rinnovare coloro che hanno il compito di definirla e reclutare professionisti con competenze rigorose e aggiornate e soprattutto giovani. Devo ammettere di non esser riuscito a cambiare questa visione, che in realtà è molto lontana dall’interesse del paziente e affonda le sue forti radici in mille rivoli burocratico-amministrativi e di interessi politici nazionali e locali contrapposti.
In passato ha parlato dell’importanza di adottare, ove consentito dall’innovazione, cure sempre più personalizzate e persino mirate al singolo paziente. Il documento in materia di governance farmaceutica, però, non sembra andare in questa direzione? Cosa ne pensa?
In effetti sono abbastanza perplesso che in un documento di questa portata non si affrontino le criticità nella gestione dalle nuove terapie Car-T arrivate e quelle che arriveranno. Sono centinaia le terapie di questo genere che saranno al vaglio degli enti regolatori e pagatori nei prossimi 3-5 anni. Anche se ne fallissero, sfortunatamente per i pazienti, il 90%, quelle che restano sono sufficienti a far saltare il banco se non regolamentate da una governance moderna. In questo documento non ve ne è traccia. Ma come è possibile? Sono tutte terapie che hanno un prezzo elevatissimo e per le quali, differentemente dall’enunciazione del documento, non è assolutamente detto che al momento in cui vengono autorizzati ci siano tutte le evidenze di un “valore terapeutico aggiunto” a cui siamo abituati ma che, magari, salvano la vita a pazienti che non avrebbero nessuna alternativa. Il concetto di gestione del rischio non è neppure menzionato, eppure a gennaio avevamo pubblicato un documento su questi concetti (Sustainable Reimbursements: Towards a Unified Framework for Pricing Drugs with Significant Uncertainties) e ieri un altro operativo è uscito su The Catalyst del New England Journal of Medicine.
Alla lettera T del Documento, si propone l’istituzione di un tavolo permanente di consultazione con le associazioni dei pazienti; quelle stesse associazioni che però non sono state ascoltate prima della redazione del documento. Coinvolgerle prima non sarebbe stato meglio?
Ho sempre sostenuto il coinvolgimento del paziente, anche se poi le decisioni devono essere sempre prese su solidi criteri scientifici. Ritengo che la vicenda Stamina sia stato un esempio lungimirante di quanto sia importante non seguire casi aneddotici o l’emotività sociale. Di contro penso che il coinvolgimento dei pazienti nelle decisioni sia la vera garanzia di rispetto della centralità del malato. Non ho trovato una dettagliata descrizione di come tutto questo possa essere attuato nel rispetto del Gdpr e sarebbe stato utile capire se l’Agenzia ha intenzione di usare i dati generati dai dispositivi mobili come stanno facendo molti altri regolatori ad iniziare dalla Fda qui in America. Ma ripeto, ognuno è libero di scrivere quello che vuole, ma almeno per me questo non è un documento moderno quindi non mi stupisce che non ci sia niente di nuovo.
Il ministro Grillo ha detto che “Le attuali conoscenze sono tali da garantire la sovrapponibilità in termini di efficacia e sicurezza tra i farmaci originatori e i biosimilari. Il tutto nel pieno rispetto delle norme che prevedono la libertà di scelta prescrittiva da parte del medico”. Ma se si impone in qualche modo la scelta del biosimilare per motivi economici, dov’è la libertà prescrittiva?
Indubbiamente vorremmo tutti quanti avere piena libertà nelle nostre scelte, senza preoccuparci di quanto spendiamo. La realtà quotidiana, tuttavia, ci dice che le risorse sono definite e quindi la libertà prescrittiva deve essere necessariamente mediata anche attraverso aspetti economici. Sul piano sociale non è eticamente condivisibile prescrivere qualsiasi cosa se di dimostrata pari efficacia e sicurezza, sottraendo risorse a malati altrettanto o anche più gravi. Penso che la libertà prescrittiva, se solidamente argomentata, sia sempre assicurata. Tuttavia, da farmacologo devo rilevare che sarebbe imprudente mettere sullo stesso piano la sostituzione di un medicinale biologico/biosimilare, con quella relativa a medicinali non biologici/generici. Il fatto poi che studi di switch abbiano evidenziato la sicurezza nel passaggio da un farmaco biologico al suo biosimilare, testimonia semplicemente che il sistema regolatorio gestito da Ema e Fda funziona efficacemente.