Il Corriere del Veneto ha interpellare Giorgio Palù, professore emerito di microbiologia e virologia dell’Università di Padova, nonché presidente dell’Aifa (Agenzia italiana del farmaco), riguardo la possibilità di un vaccino per il virus West Nile. Il virologo padovano, per l’appunto, aveva studiato per molti anni il virus in questione, riuscendo ad isolare un caso nell’uomo nel 2008, cominciando poi la sperimentazione per un vaccino con virus inattivato che lo combattesse.
“Nel 2014 – afferma il presidente dell’Aifa al Corriere del Veneto – con un gruppo di ricercatori europeo, abbiamo sperimentato un vaccino basato sulla proteina E di superficie che è in grado di riconoscere il recettore cellulare (DC-SIGN, integrine). Il vaccino ebbe successo sui macachi poiché vedemmo che preveniva l’infezione”.
Il processo di sviluppo però per un vaccino adatto all’uomo venne bloccato perché da parte dell’industria farmaceutica non c’era interesse a svilupparlo. “Questo perché il virus ha una scarsa patogenicità, letalità bassissima e legato alla stagionalità. Il West Nile inoltre non è un virus pandemico, ma epidemico-endemico nel periodo estivo, un dato che scoraggia lo sviluppo di un vaccino“.
Il microbiologo padovano ha asserito che l’80% dei casi è di persone contagiate, ma asintomatiche, il 20% ha una sindrome simil-influenzale e l’1% può portare ad una meningoencefalite:
“Un caso su dieci di questa minima porzione può portare a gravi conseguenze”.
Contro il West Nile non esistono terapie antivirali efficaci per la persona e quindi è importante seguire un approccio One-health, monitorando la presenza del virus sia nell’uomo, ma anche nelle zanzare e negli uccelli, ha concluso Palù.
Note:
La febbre West Nile (West Nile Fever, virus del Nilo occidentale) è una malattia provocata dal virus West Nile (West Nile Virus, Wnv), un virus della famiglia dei Flaviviridae (Arbovirus) isolato per la prima volta nel 1937 in Uganda, appunto nel distretto West Nile (da cui prende il nome). Il virus è diffuso in Africa, Asia occidentale, Europa, Australia e America.
I serbatoi del virus sono gli uccelli selvatici e le zanzare (più frequentemente del tipo Culex), le cui punture sono il principale mezzo di trasmissione all’uomo
Il periodo di incubazione dal momento della puntura della zanzara infetta varia fra 2 e 14 giorni, ma può essere anche di 21 giorni nei soggetti con deficit a carico del sistema immunitario.
La maggior parte delle persone infette non mostra alcun sintomo. Fra i casi sintomatici, circa il 20% presenta sintomi leggeri: febbre, mal di testa, nausea, vomito, linfonodi ingrossati, sfoghi cutanei. Questi sintomi possono durare pochi giorni, in rari casi qualche settimana, e possono variare molto a seconda dell’età della persona. Negli anziani e nelle persone debilitate la sintomatologia può essere più grave.
I sintomi più gravi si presentano in media in meno dell’1% delle persone infette (1 persona su 150), e comprendono febbre alta, forti mal di testa, debolezza muscolare, disorientamento, tremori, disturbi alla vista, torpore, convulsioni, fino alla paralisi e al coma. Alcuni effetti neurologici possono essere permanenti. Nei casi più gravi (circa 1 su mille) il virus può causare un’encefalite letale.
Non esiste una terapia specifica per la febbre West Nile. Nella maggior parte dei casi, i sintomi scompaiono da soli dopo qualche giorno o possono protrarsi per qualche settimana. Nei casi più gravi è invece necessario il ricovero in ospedale, dove i trattamenti somministrati comprendono fluidi intravenosi e respirazione assistita.
Non esiste un vaccino per la febbre West Nile. Attualmente sono allo studio dei vaccini, ma per il momento la prevenzione consiste soprattutto nel ridurre l’esposizione alle punture di zanzare.
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