Stato della ricerca farmacologica e qualità dell’informazione fornita alla comunità scientifica e ai pazienti. Questi alcuni dei temi trattati nella conferenza sul tema «Il futuro della medicina», che ha chiuso il Festival delle scienze 2008 di Roma. Accanto agli enormi progressi di questi ultimi anni in termini di prevenzione, cura delle malattie e miglioramenti nelle condizioni di vita, permangono aspetti problematici. Silvio Garattini e l’inglese Iain Chalmers hanno richiamato l’attenzione sull’invasività dell’industria farmaceutica; sulla sua capacità di utilizzare canali nascosti per veicolare messaggi; sulle neglette necessità di pazienti e medici; sui «trucchi» con cui si manipolano i risultati dell’efficacia di nuovi farmaci. Preso atto che il 60 per cento della ricerca viene finanziata dall’industria, è realistico aspettarsi che i campi di indagine siano determinati essenzialmente da interessi commerciali. Però è anche doveroso pretendere, secondo l’indicazione ippocratica, che i nuovi farmaci tengano conto dell’impatto sulla salute generale del paziente. Certamente evitando che, determinando un miglioramento della patologia per cui vengono impiegati, causino un peggioramento di altre funzione vitali, quando non addirittura – come ha mostrato Chalmers – la morte. Ciò si ricollega al fatto che i farmaci per i bambini non siano sperimentati su di loro, come ha denunciato, nel dicembre scorso, l’Organizzazione mondiale della sanità con la campagna «Medicine appropriate per i bambini». Il dato è scioccante: il 50 per cento dei farmaci pediatrici non sono mai stati studiati sui bambini, per esempio gli usatissimi farmaci contro la tosse. Si tratta di un approccio che vede in loro degli adulti in miniatura, secondo un calcolo economico conveniente: avviare una sperimentazione ad hoc è costoso, e richiede di superare molti ostacoli sul piano legale. Ma se, da una prospettiva imprenditoriale il dato non stupisce, i medici ci ricordano che i bambini sono ben altro che dei piccoli replicanti: sono invece degli organismi in crescita e in evoluzione, con un metabolismo particolare, per cui un farmaco non specificamente testato può danneggiarne lo sviluppo. Va inoltre sottolineata l’esigenza di una maggiore trasparenza e di un controllo sistematico sullo stato di avanzamento della ricerca da parte della comunità scientifica. Ciò si traduce anche nella necessità di pubblicare gli studi i cui esiti siano risultati contrari alle attese, in modo che vengano fatte circolare informazioni che servano come futuri orientamenti. Alla luce di questo, già da qualche anno, viene salutata favorevolmente, anche a livello internazionale, la previsione dell’articolo 48 della legge 326 del 2003, secondo cui ogni anno le aziende farmaceutiche debbono versare il 5 per cento dell’ammontare complessivo delle spese da loro sostenute per le attività di promozione dell’Agenzia italiana del farmaco (Aifa). La speranza è che, per questa via, non si perseguano solo fini commerciali e che si possa così costruire una effettiva interazione tra la comunità di ricerca. D’altro canto, v’è la delicata questione del rapporto medico-paziente, spesso malauguratamente impostato a livello gerarchico. Si va da tempo dicendo che è necessario ascoltare il paziente, e che il medico debba considerarlo nella globalità della sua persona, avendo per lui quella Cura che Igino, in una delle sue Fabulae , indica come la divinità cui Saturno affida gli uomini, per tutto il corso della loro vita. L’invito ai pazienti di non vedere nel medico colui che dà la guarigione e la salvezza attraverso una pillola,
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