Roberto Turno
ROMA
Ben 288 ospedali in meno e un taglio secco a 83.231 posti letto. In dieci anni, dal 1997 al 2006, sono dimagrite in media del 30% le strutture pubbliche ospedaliere. Mentre la spesa pro-capite, 1.731 euro nel 2007, è schizzata all’insù del 77,7% registrando un disavanzo totale di 44,78 miliardi. E il personale è aumentato appena dello 0,3%, per effetto soprattutto del calo del 10,3% del personale tecnico-amministrativo, con i medici cresciuti nel frattempo dell’8,2 e gli infermieri del 5,3 per cento.
Ecco il check up 1997-2006 del Servizio sanitario nazionale. Mentre incalza il federalismo fiscale e Governo e Regioni si preparano a una difficile maratona per il nuovo "patto sulla salute" previsto dalla manovra triennale (Dl 112, convertito nella legge 133), l’Italia della Sanità pubblica presenta tutti i suoi conti, le sue forze e le sue debolezze. Confermando l’esistenza di un sistema a venti velocità e gli effetti delle resistenze al cambiamento proprio in quelle realtà in queste ore sotto osservazione: Lazio, Sicilia, Calabria, Campania, Abruzzo. Il Lazio che rischia un commissario bis, nonostante la manovra estiva sottoscritta dal governatore (e commissario) Piero Marrazzo, l’Abruzzo destinato tra breve a finire sotto tutela e ancora Sicilia, Calabria e Campania sugli scudi del commissariamento dai primi di ottobre.
La foto di gruppo del nostro Ssn, come risulta dalle elaborazioni del settimanale «Il Sole-24 Ore Sanità» sui recentissimi dati dell’Annuario 2006 del ministero della Salute confrontati con quelli del 1997, testimonia con chiarezza il cammino fatto in dieci anni, ma anche dove il percorso di razionalizzazione è rimasto al palo.
Perché i tagli, è chiaro, ci sono stati. Eccome. Ma non sempre e non dappertutto. Tra eliminazioni, accorpamenti e razionalizzazioni di strutture, gli ospedali pubblici (654 quelli censiti nel 2006) sono dimagriti di 288 unità (-30,6%), con un significativo picco del 59% (87 in meno) in Lombardia e del 50,6% in Veneto e Puglia. A parte la Toscana, che vantava una rete già più razionale, spiccano le riduzioni assai meno consistenti nel Centro e in genere nel Sud: la Calabria (-2,6%) è in fondo alla classifica. Il taglio dei posti letto è andato ovviamente di pari passo con la riduzione delle strutture di ricovero: dai 295mila del 1997 i posti letto sono diventati 211.725 nel 2006, il 28,2% in meno, con la Puglia che può vantare l’abbattimento più consistente (ha perso 9.353 letti, ben il 40%).
Al dimagrimento complessivo, ma non generalizzato, di un Ssn pletorico già messo a dieta a partire dal 1992 con la cura-Amato, ha corrisposto la razionalizzazione dei percorsi di cura. Vale a dire: più day hospital e day surgery al posto dei ricoveri ordinari, e, nel tempo, più cure a domicilio. Ma sempre nel segno dell’Italia a mille velocità. I ricoveri in day hospital sono passati così da 1,7 milioni a 3,9 milioni in dieci anni, incidendo nel 2006 per il 30,8% sui ricoveri ordinari per acuti, praticamente il doppio rispetto al 16% del 1997. Mentre anche l’Adi (assistenza domiciliare integrata) è raddoppiata dai 200mila casi registrati nel 1997 ai 414mila del 2006. Avanti, insomma, ma ancora troppo poco.
Anche le politiche per il personale hanno registrato un andamento a marce differenziate tra le Regioni, frutto delle diversità locali, ma non solo. Il personale sanitario (452mila) è cresciuto di 25mila unità (+5,9%), quello tecnico e amministrativo ne ha perso 23mila (-10,3%). I medici (105.860) sono 8mila in più, gli infermieri (265.444) +13mila. Nel complesso il personale in dieci anni conta solo 1.700 unità in più, con la Puglia che ha perso il 10,7% di dipendenti e la Basilicata (a parte la Valle d’Aos
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