La denuncia di Magazzù (Fimmg): «Me lo dicono sempre più persone, in 30 anni di professione non m’era mai accaduto»
PORDENONE. «Dottore, non mi mandi in farmacia perché non i soldi necessari a pagare i medicinali». Ovvero quando la crisi si scarica sulla salute. «In trent’anni di professione non mi era mai accaduto», dichiara Rosario Magazzù, segretario della Fimmg, il maggiore sindacato dei medici di medicina generale.
«Non era accaduto in altri momenti di crisi economica, e soprattutto è una richiesta che arriva non solo dalle persone anziane, che hanno difficoltà a far quadrare i conti, ma anche da giovani che hanno perso l’impiego». La considerazione del medico di fronte a questa situazione: «non si possono creare ulteriori difficoltà ai cittadini», ovvero ai problemi del lavoro perduto o che non c’è, non si può sommare l’angoscia di non poterci curare adeguatamente.
«Da sempre sostengo un principio: il medico deve prescrivere in scienza e coscienza e deve prescrivere farmaci che conosce. Nel momento in cui il ministero autorizza l’immissione dei farmaci e li inserisce nel prontuario, li rende prescrivibili. E sa esattamente qual è il loro costo. E allora, perché scaricarlo sulle spalle dei cittadini? Oppure, come accade, pressare i medici affinché prescrivano i generici?».
I medici di medicina generale «ce la stanno mettendo tutta per andare incontro alle esigenze dei loro assistiti – spiega Magazzù -, prescriviamo i farmaci a brevetto scaduto, perché costano meno, e anche i cosiddetti generici. Il problema è che di generici che contengono una particolare molecola, ce ne sono moltissimi, ma non è detto siano perfettamente sovrapponibili al farmaco principale. Ecco dunque che il medico ha il dovere di prescrivere il farmaco che conosce, perché questo attiene a scienza e coscienza, e il farmacista non ha il diritto di sostituirlo. E’ assurdo che un medico sia condizionato dal prezzo di un medicinale, così come è grave che un paziente debba rinunciare al farmaco più adatto perché non può permettersi di sostenere il maggior costo richiesto dal farmaco non generico o non a brevetto scaduto. Purtroppo – considera Magazzù – accade, perché la quota a carico del cittadino, pari alla differenza tra il prezzo del generico equivalente e quello di marca, se vogliamo chiamarlo così, in alcuni casi è modesta, da 1 a 3 euro a scatola, ma in altri arriva anche a 10 euro, e in questo caso il “conto” è oggettivamente pesante».