La Giornata Parlamentare del 18 dicembre 2020
Renzi dà l’ultimatum a Conte: senza risposte a gennaio il Governo rischia
Come vuole il protocollo, l’incontro a palazzo Chigi tra Giuseppe Conte e Italia Viva viene definito cordiale e franco, ma il quadro che emerge è quello di un vero ultimatum dei renziani con scadenza a fine anno. Iv garantisce il sostegno sulla legge di bilancio e sugli altri provvedimenti urgenti, come i decreti in scadenza, dopodiché sarà il momento di tirare le somme. Si vedrà se Conte prenderà sul serio le minacce di Iv, dopo che Teresa Bellanova ha ribadito la possibilità delle dimissioni delle ministre renziane. In maggioranza più d’uno sospetta che quello di Matteo Renzi sia solo un bluff audace, giocato per guadagnare potere contrattuale al tavolo della maggioranza e ottenere magari, finalmente, il rimpasto. Di sicuro, però, la Bellanova uscendo ha ribadito la minaccia di una crisi: “Abbiamo rappresentato al presidente le nostre argomentazioni. Ora aspettiamo che faccia una riflessione per vedere se ci sono le condizioni per continuare a lavorare con un programma ulteriore”. La sensazione è che il colloquio sia stato soprattutto un rito mediatico e che tutti i protagonisti fossero perfettamente consapevoli che la vera resa dei conti ci sarà solo dopo la legge di bilancio. Per Iv c’erano Matteo Renzi, le due ministre Teresa Bellanova e Elena Bonetti, i capigruppo Maria Elena Boschi e Davide Faraone, il presidente del partito Ettore Rosato.
Tanta gente intorno al tavolo con Conte per un colloquio durato meno di un’ora e durante il quale, pare, abbiano parlato per Iv solo l’ex premier e la Bellanova. E’ stata una discussione rapida, durante la quale difficilmente sarebbe stato possibile entrare nel merito delle singole questioni, ma comunque una chiacchierata sufficiente a consentire qualche colpo di fioretto, nonostante la cordialità del clima. Raccontano che a un certo punto Conte avrebbe definito “un’anomalia” la scissione dei renziani dal Pd e la nascita di Iv poche settimane dopo la nascita del Governo. La Bellanova, spiegano, sarebbe scattata: “Eh no, basta con questa storia che siamo noi l’anomalia. La vera anomalia è avere lo stesso premier in due governi di colore politico opposto”. Dal canto suo Giuseppe Conte apre la via di un dialogo, alla luce delle proposte a lui recapitate da Renzi prima con una lettera, poi con un documento di cinque pagine. Tende una mano e apre a cambiamenti, a partire dalla cabina di regia del Recovery fund, e cerca di disinnescare certi toni da “prendere o lasciare”. Ma il leader di Iv non vuole lasciare margini al dubbio che questa volta fa sul serio: il governo rischia. E così al premier chiede risposte nei fatti, di merito e di metodo, entro i primi giorni di gennaio.
Il PD invia a Conte le sue proposte in vista della verifica di Governo
Dall’utilizzo dei 36 miliardi di euro della linea di credito del Mes per le spese sanitarie a una riforma progressiva del sistema fiscale che ne riduca il carico: sono le proposte che il Partito Democratico mette a disposizione di Giuseppe Conte per la verifica di governo. Il Pd la ha raccolte sotto il titolo “Cose da fare”. Si inizia dalla transazione ecologica: il Pd propone l’adozione di un piano straordinario di impianti per l’energia rinnovabile; una legge per la rigenerazione urbana e lo stop al consumo del suolo, oltre a favorire l’economia circolare e la rivoluzione green in tutti i settori produttivi e introdurre il taglio ai sussidi ambientalmente dannosi e la fiscalità green. In materia di lavoro, per i dem sarebbe necessaria una legge sulla rappresentanza sindacale e il salario minimo legale; la parità salariale tra donne e uomini; la partecipazione dei lavoratori ai Cda delle grandi imprese; un piano nazionale sulla salute e la sicurezza sui luoghi di lavoro; un nuovo Statuto dei lavori, delle lavoratrici e dei lavoratori. Il partito di Nicola Zingaretti, inoltre, pone tra le priorità programmatiche la garanzia dell’equilibrio di genere negli organi costituzionali, nelle autorità indipendenti e nelle società a controllo pubblico; la pari dignità del cognome materno ai figli; il congedo di paternità a tre mesi per la condivisione del lavoro di cura; che i cinque mesi di maternità obbligatoria siano a carico della fiscalità generale, oltre all’istituzione di un fondo per l’imprenditoria femminile. I dem, inoltre, chiedono che il 5% del Pil sia destinato alla scuola; un piano straordinario per gli asili nidi; la gratuità delle spese sostenute fino ai 18 anni per i figli delle famiglie con reddito medio basso; l’innalzamento dell’obbligo scolastico a 18 anni. In tema di welfare, progressivo aumento dell’assegno unico e adozione di un piano di edilizia residenziale pubblica e di rigenerazione urbana del patrimonio esistente. Infine, si propone, in campo industriale, di incentivare la cooperazione pubblica e privata sulla ricerca applicata e lo sviluppo tecnologico per fornire alle piccole e medie imprese servizi, formazione, training e figure professionali; riconoscere il ruolo strategico delle imprese partecipate dallo Stato, in particolare nei settori della green economy e del digitale, e di promuovere interventi che favoriscano i processi di aggregazione delle imprese, in particolare di quelle proiettate sui mercati esteri.
Il Governo ha posto la fiducia su Dl Ristori. Oggi l’approvazione definitiva
Alla Camera il Ministro per i rapporti con il Parlamento Federico D’Incà ha posto a nome del Governo la questione di fiducia sull’approvazione del decreto ristori, nel testo della Commissione, identico a quello approvato dal Senato; la fiducia sarà votata nella giornata di oggi: le dichiarazioni di voto avranno luogo a partire dalle 8.30, l’appello nominale è previsto a partire dalle 10.00. Dopo la votazione sulla questione di fiducia e quindi attorno alle 11.30, si passerà all’esame degli ordini del giorno e, a partire dalle 13.30, alle dichiarazioni di voto finale: la votazione finale è prevista alle 15.00. Il decreto, di cui ieri si è svolta la discussione generale, reca un complesso di disposizioni volte principalmente a sostenere i settori economici più colpitidall’aggravamento dall’emergenza sanitaria da Covid-19 e in relazione ai provvedimenti restrittivi sia sulle attività produttive, sia sugli spostamenti delle persone sul territorio nazionale. Nel corso dell’esame del provvedimento al Senato sono confluiti i successivi decreti ristori bis, ter e quater, aventi le medesime finalità. Con il voto di oggi pomeriggio il decreto sarà quindi approvato definitivamente. Parallelamente oggi alle 16.30 riprenderà l’esame degli emendamenti alla legge di bilancio in Commissione Bilancio alla Camera; le votazioni proseguiranno per tutta la giornata di domani, con tre sedute distinte: si partirà alle 10.00 fino all’ora di pranzo, poi dalle 15.00 e l’ultima seduta dalle 19.00 con prosecuzione notturna. A quanto si apprende, maggioranza e Governo puntano a chiudere l’iter in Commissione sabato notte, ma non è escluso che l’esame possa proseguire anche domenica per poi avere in Aula il provvedimento già lunedì pomeriggio.
Al Senato il centrodestra occupa l’Aula dopo la fiducia al decreto sicurezza
Quella di ieri è stata una giornata caldissima al Senato. L’Aula di palazzo Madama sta approvando definitivamente il nuovo decreto sicurezza, la versione corretta dei cosiddetti decreti Salvini. La tensione sale a sorpresa prima di pranzo; il tam tam sulla liberazione dei 18 pescatori sequestrati in Libia con il premier Giuseppe Conte in volo per Bengasi, corre veloce e anima il dibattito. Ma è Matteo Salvini a scaldare la platea: tuona contro l’azzardo del Governo sull’operazione ancora in corso dei servizi di intelligence e fatta filtrare dallo staff di Palazzo Chigi. “Certe cose prima si fanno e poi si annunciano”, contesta tra il vociare crescente della maggioranza. Lo zittisce il presidente dei senatori Dem Andrea Marcucci: “Alzare la voce e fare confusione in un giorno come questo è semplicemente sbagliato”, replica in aula e poi esprime i ringraziamenti a Governo e Parlamento da parte della maggioranza, mentre le opposizioni puntano il dito sui 108 giorni passati prima della liberazione degli ostaggi. Dopo pranzo parte un nuovo round, sul decreto sicurezza.
Sul tavolo ci sono oltre 13 mila emendamenti, quasi tutti firmati Lega. Che ci fosse ostruzionismo era prevedibile, ma la miccia scoppia con l’annuncio flash della fiducia. A farlo è il ministro per i Rapporti con il Parlamento Federico D’Incà subito dopo gli interventi dei relatori. Il pentastellato spiazza tutti, in primis il senatore Ignazio La Russa, che sta presiedendo l’aula e che prova a stopparlo, inutilmente. Né riesce a fermare la corsa dei senatori del centrodestra verso gli scranni del governo, per protestare: per alcuni minuti l’aula diventa un’arena con decine di senatori con la mascherina accalcati attorno al Ministro. Dario Parrini del Pd accusa: “È un vile atto di squadrismo parlamentare tollerato dal presidente di turno La Russa”. L’aula viene sospesa e si tenta una mediazione convocando la Conferenza dei capigruppo. Il Ministro intanto si difende: la fiducia è stata posta correttamente e c’è un precedente con il decreto Spazzacorrotti nel governo M5S – Lega. Ma i leghisti non ci stanno: “Vogliono impedirci la discussione”, denunciano e occupano i banchi del Governo. Dopo un po’ però la protesta si ferma di fronte alle regole anti Covid: bisogna sanificare l’aula e quindi va liberata. Alla fine, si trova un accordo avviando la discussione in serata e proseguendola questa mattina. Dopo le 14.00 comincerà la chiama dei senatori per la fiducia e poi, se non ci saranno incidenti, la maggioranza darà il via libero definitivo al decreto che scade il 20 dicembre.
Oggi il Governo deciderà sul Natale: si va verso un lockdown misto
La partita è ancora tutta da giocare. La decisione dell’esecutivo su come sarà il Natale nell’era del Coronavirus per gli italiani verrà presa oggi, dopo un altro giro di riunioni tra il premier Giuseppe Conte, le Regioni, gli Enti locali e i membri della maggioranza. Si dovrebbe arrivare al Consiglio dei ministri delle 18.00 con una proposta definita, frutto di una sintesi tra rigoristi e aperturisti, non scontata. Il tutto sarà racchiuso in un decreto legge che, in sostanza, annullerà quello precedente, rendendo più stringenti i limiti per gli spostamenti durante le festività natalizie. Per ora la deroga cui il presidente del Consiglio sta lavorando è quella dei due congiunti, non conviventi, seduti a tavola nei giorni di festa, una concessione per rendere meno amare le giornate di quasi lockdown delle festività. Restano comunque in campo due ipotesi, quelle che il ministro Francesco Boccia ha illustrato durante l’incontro informale con Regioni, Anci e Upi: seguire la linea sponsorizzata dai più rigorosi Ministri Roberto Speranza e Dario Franceschini e quindi di fare dell’intera penisola zona rossa dal 24 dicembre al 6 gennaio, oppure seguire le indicazioni più morbide proposte da Giuseppe Conte e Alfonso Bonafede, limitando le restrizioni delle zone rosse nei giorni festivi e prefestivi (quindi 24,25 e 26 dicembre, 31 e 1 gennaio) e colorare invece di giallo il 28, 29 e 30 dicembre.
In quest’ultimo caso bar, ristoranti e negozi resterebbero aperti e si potrebbe circolare all’interno della propria regione, mentre con l’indice di massima criticità le attività commerciali resterebbero chiuse e ci sarebbe anche il divieto di spostamento all’interno del Comune, fatto salvo per urgenze, necessità e salute. Confermata la struttura del Dpcm del 3 dicembre scorso con il divieto si spostamento da regione a regione dal 21 dicembre al 6 gennaio. “Il Natale è più rischioso di Ferragosto”, ha avvertito Francesco Boccia nel corso della riunione con gli Enti locali, richiamando quindi alla necessaria “unità tra Stato-Regioni-Enti locali per le misure delle festività”. La posizione che vede molti governatori, anche del centrodestra, concordi, tanto che il presidente del Veneto Luca Zaia ha annunciato la chiusura dei confini comunali a partire dalle 14.00 dal 19 dicembre fino al 6 gennaio: “Le attività produttive e commerciali non chiuderanno, chi ha la serranda non la abbasserà, ma dalle 14.00 si lavora solo con cittadini della propria città”, ha spiegato. Zaia insomma gioca d’anticipo perché, ha ribadito recapitando a Palazzo Chigi un messaggio al vetriolo, “non ho ben capito cosa accadrà con il Governo. Siamo a giovedì e c’è ancora incertezza sulle misure nazionali. Noi non possiamo aspettare”.