Tagliare il personale (mantenendo gli sprechi), tagliare le prestazioni (mantenendo gli sprechi), tagliare i farmaci (mantenendo gli sprechi), utilizzare personale low-cost per funzioni suppletive (mantenendo gli sprechi). Può consolarci il fatto che la posizione di ventunesimi su 36 SSN, pur significando l’ultimo posto tra i Paesi occidentali più evoluti, ci consente ancora di guardare dall’alto in basso Albania, Serbia, Montenegro.
Da “Lettere al Direttore” del 20 febbraio 2016 – La Provincia di Cremona
La legge di riforma del Servizio Sanitario Nazionale è del 1999 (legge Bindi). Ancora un anno dopo si raccontava che il modello italiano di sanità pubblica fosse ai vertici delle classifiche mondiali, seconda solo al sistema sanitario francese. Nel 2001 le competenza sanitarie vengono trasferite alle Regioni. Nel 2006 siamo già precipitati al diciottesimo posto su 29 paesi europei. Nel 2012, secondo Euro Health Consumer Index, la sanità italiana è al 21° posto in Europa, preceduta anche da Repubblica Ceca, Slovenia, Croazia, Macedonia. Tale posizione viene mantenuta anche per il 2015, perdendo però il confronto diretto col Portogallo. Può consolarci il fatto che la posizione di ventunesimi su 36, pur significando l’ultimo posto tra i Paesi occidentali più evoluti, ci consente ancora di guardare dall’alto in basso Albania, Serbia, Montenegro.
A ben vedere ce ne eravamo accorti anche da soli.
Il progressivo declino della sanità italiana, tra conflittualità esasperata, malcontento dei pazienti e degli operatori, progressiva emarginazione del personale sanitario, demotivazione diffusa, eccessiva subordinazione al potere politico, burocratizzazione spinta all’eccesso, elevata rischiosità medico-legale e molto altro ancora, si percepisce chiaramente ogni volta che si manifesta il bisogno di ricorrere alle cure sanitarie. C’è anzi da meravigliarsi se, a fronte di questa situazione, spesso riusciamo ancora ad ottenere buone cure e buona assistenza.
A fronte di personale sanitario che si impegna duramente per mantenere un livello ottimale di attività, talora sostenuto da dirigenti responsabili, di fatto la Sanità sta diventando essa stessa un malato, al cui capezzale in molti si affannano a proporre ricette e cambi di paradigma. In realtà tutte le proposte vanno in un’unica direzione: la riduzione dei costi. Non si può non condividere il proposito di contenere la spesa, anche Cottarelli sarebbe d’accordo. Già, ma quali sono le soluzioni? Tagliare il personale (mantenendo gli sprechi), tagliare le prestazioni (mantenendo gli sprechi), tagliare i farmaci (mantenendo gli sprechi), utilizzare personale low-cost per funzioni suppletive (mantenendo gli sprechi).
Insomma, se non si è ancora capito, tutte le soluzioni prospettate sembrano andare nella direzione di ridurre i costi della sanità pubblica senza incidere sul suo contesto generale. Sarebbe interessante chiedere a qualche esperto di conduzione aziendale come possa funzionare un’azienda in cui si riducano le spese necessarie alla produzione mantenendo intatti gli sprechi. E’ pur vero che questo problema non riguarda solo l’Italia: negli USA, con un modello sanitario assai differente, gli sprechi assommano al 21% della spesa federale per la salute (558 miliardi di dollari/anno). Si tratta di frodi, costi gonfiati, complessità amministrative, trattamenti inutili, mancato coordinamento tra le strutture assistenziali, trattamenti e terapie non efficaci. Tutto come da noi, insomma: però senza i ‘costi della politica’. Un dettaglio non da poco. Se a questo si sommano alcune recenti proposte legislative che determinano uno scadimento progressivo dell’attività medica, oltre alla perdita della sua autonomia professionale, c’è di che essere preoccupati.
L’appiattimento della professionalità medica ‘ope legis’, secondo un programma che l’Italia sta portando avanti con determinazione, rappresenta un sentiero ignoto che nessun sistema sanitario al mondo ha ancora osato percorrere e che modifica radicalmente il ruolo fondamentale della medicina, sopravvissuto ad almeno 2500 anni di storia. Le nuove norme su appropriatezza prescrittiva e responsabilità civile concordano con la trasformazione del medico secondo una tipologia di funzionario passivo, inerte, burocratizzato.
Mentre in USA si finanzia una ‘medicina di precisione’, non più basata sulla malattia ma sulle differenze biologiche individuali, l’Italia stila un rigido elenco di patologie ed altrettanto rigide regole su quello che il medico può prescrivere e su quello che può o non può fare. Soluzioni che andrebbero bene in un mondo dove i pazienti sono rappresentati da mutanti, cloni, robot, certamente utili per chi deve aggiustare automobili e trattori, meno adatti forse a chi si confronta con la variabilità biologica degli individui.
Noi non siamo tutti uguali, né nella vita, né nella sofferenza. Sottoporre alle regole attuali la medicina significa non comprenderne l’essenza, ragionando secondo quel senso di immortalità che accompagna la giovinezza e che vede la malattia come un concetto astratto, non come un destino inevitabile. Se a questo si aggiungono i pericolosi scricchiolii che già mostra una medicina basata sulle Linee Guida, c’è di che essere veramente preoccupati. Solo per fare un esempio: in Emilia le Linee Guida per la radiologia emanate dal ministero della Salute sono spernacchiate dall’assessorato, che insiste nel proporre Linee Guida alternative e, mentre i sindacati medici dichiarano al loro contrarietà alle Linee Guida regionali e la loro adesione alla Linee Guida ministeriali, i tecnici di radiologia sono d’accordo con quelle regionali ma in contrasto con quelle nazionali.
Però le Linee Guida nazionali e regionali non sono quelle della Società Scientifica Italiana, che a loro volta sono diverse da quelle americane, che però non concordano con le indicazioni europee… Ed è solo l’inizio. C’è da stare tranquilli? Mica tanto, specialmente se si considera che prima o poi anche il nostro turno arriva.
Pietro Cavalli
(medico)
Da “Lettere al Direttore” del 20 febbraio 2016 – La Provincia di Cremona