200 milioni in cinque anni. Per l’a.d. del colosso farmaceutico l’Italia è una base strategica nel mercato europeo «I tagli operati sono stati funzionali a ribaltare l’approccio: soddisfare il cliente non l’azienda»
Merck Sharp&Dohme, tra le primissime major mondiali del farmaco, è pronta a raddoppiare in Italia. Con altri 200 milioni di investimenti in cinque anni nel centro di ricerche Irbm di Pomezia, dove già ha puntato 180 milioni nel 2002-2006, conferma la volontà di fare del nostro Paese una delle sue basi strategiche in Europa. José Luis Roman, spagnolo, 53 anni, da settembre scorso presidente e Ad del gruppo Msd Italia, annuncia in questa sua prima intervista i programmi dell’azienda. Dove ha subito avviato una riorganizzazione in linea con le scelte del quartier generale Usa, che ha comportato il taglio di 270 dipendenti, in larga parte informatori scientifici. «Plan to win», è la filosofia che guida il futuro mondiale dell’azienda. Nel portafoglio italiano, intanto, Msd gioca una nuova carta: la commercializzazione di un prodotto per il diabete di tipo 2 per migliorare il controllo della glicemia in maniera fisiologica. Dimenticare il "caso Viox", è la speranza.
Che idea s’è fatto dell’Italia: è davvero un ambiente così ostile per le industrie farmaceutiche?
Credo che l’atteggiamento di non grande apertura verso l’industria farmaceutica, non sia un problema peculiare dell’Italia. Con responsabilità nostre, certo, che non abbiamo saputo comunicare in modo chiaro e trasparente il valore di innovazione e di opportunità economica che rappresentiamo. Ma c’è una seconda componente: la stringente ed eccessiva regolamentazione governativa, soprattutto nei Paesi nei quali esiste una sorta di monopsonio pubblico che fa sì che i profitti generati dall’industria siano considerati esclusivamente come un costo, anzichè un investimento.
E l’Italia che ruolo gioca?
Non posso negare l’esistenza in Italia di una forte regolamentazione. Il legittimo sforzo di controllo della spesa ha comportato effetti negativi, ostacoli e ritardi nell’accesso ai farmaci. Serve maggiore equilibrio tra regolamentazione e dinamiche di mercato. Mi sembra tuttavia che alcune misure appena adottate vanno esattamente in questa direzione, come la creazione del Fondo per i farmaci innovativi.
Finanziaria promossa?
È positivo aver introdotto certezze e stabilità nel quadro regolatorio e aver abbandonato il taglio dei prezzi per l’eventuale ripiano degli sforamenti di spesa. Ma vanno colmate alcune lacune. Il meccanismo premiale dell’innovazione presenta più di una incertezza. E ho perplessità anche sul metodo di formazione dei budget aziendali, che non stimola abbastanza la competitività. Ma, ripeto, è stato fatto un passo avanti, con un nuovo clima di collaborazione.
Il suo arrivo è coinciso con una profonda riorganizzazione e riduzione di organici.
La ristrutturazione è parte integrante di un processo di riorganizzazione su scala globale iniziato nel 2005 dall’azienda. L’Italia è sempre stata una consociata di grandissima importanza, tra le prime cinque al mondo. Ma tra perdita di brevetti, tagli dei prezzi, payback, limiti ai rimborsi, il quadro era cambiato. Quando sono arrivato in Italia, poi, ho trovato una struttura organizzativa e un organico molto grande ai quali non facevano, purtroppo, riscontro risultati finanziari corrispondenti. Una situazione che ha reso inevitabile le misure prese.
Meno costi, più profitti…
La ristrutturazione non risponde solo a obiettivi di massimizzazione finanziaria. Dal modello share of voice con la presenza di un numero elevato e crescente di personale, soprattutto informatori