La Pfizer Italia ha deciso di cedere più di quattrocento informatori farmaceutici ad un’altra azienda, senza riconoscere loro il diritto a rifiutare il nuovo impiego e senza giustificazioni economiche realmente valide. Di Marzia Bonacci – Aprile info.
440 a 2, è questa la formula matematica che sintetizza il caso sollevato dalla multinazionale farmaceutica Pfizer, leader mondiale nel settore, laddove il primo numero rappresenta i lavoratori che il gigante industriale ha deciso di cedere entro febbraio – senza fornir loro garanzie né possibilità di scelta – ad un altro colosso, mentre il secondo il numero delle interrogazioni parlamentari presentate da Aleandro Longhi, dei Ds, sulla vicenda. Il caso infatti non ha avuto rilevanza mediatica sebbene in ballo ci sia il destino occupazionale di più di quattrocento informatori farmaceutici sui quali grava, inclemente, la spada di Damocle di un trasferimento obbligato ad un’altra industria. Ripercorriamo la vicenda, tenendo presente proprio le due interrogazioni parlamentari presentate mercoledì dall’onorevole Longhi.
La Pfizer Italia S.r.l. è una società del gruppo Pfizer Inc, multinazionale americana del farmaco, che nelle ultime settimane di dicembre ha annunciato la decisione di cedere due linee “di vendita”, che corrispondono a due linee di informazione scientifica, per un totale di 440 dipendenti trasferiti. Acquirente: la Marvecs. Alla base della decisione – comunicata nello scomodo periodo natalizio rendendo difficile la mobilitazione sindacale dei dipendenti coinvolti -, secondo la Pfizer ci sarebbe la necessità di “riorganizzarsi con l’obiettivo di ottenere un maggior grado di flessibilità per essere in grado di reagire rapidamente ai cambiamenti di settore”. Un change the strategy che non può però trovare ragion d’essere nell’andamento economico dell’azienda che, a detta della stessa, non appare particolarmente in crisi. Nei primi di dicembre infatti l’azienda ha presentato ai lavoratori i risultati economici dell’ultimo trimeste del 2006, i quali comprovano uno stato di crescita dell’azienda (come non poteva essere dato che vende il celebre e diffuso Viagra?): + 5% di vendite nel settore ospedaliero e miglioramento anche delle vendite (+0,6%) frutto dell’attività di promozione da parte degli informatori scientifici del Farmaco (ISF). Insomma, gli informatori hanno fatto bene il proprio lavor parola della multinazionale stessa. Se errore c’è stato, è rappresentato da un mancato raggiungimento del budget, non certo imputabile ai dipendenti.
Ora, l’attuale scelta di cessione dei due rami avviene a ridosso di quella già operata all’inzio del 2006 quando 200 dipendenti sono stati ceduti. Negli ultimi due anni, si arriverebbe ad un totale di tre cessioni che soltanto nelle precedenti due hanno condotto alla precarizzazione di circa 400 lavoratori.
Detto questo si pongono allora due ordini di problemi, come ricordato dallo stesso Longhi. Il primo riguarda la tutela di questi lavoratori che la Pfizer vuole cedere, perchè sebbene dichiari che i trasferiti alla Marvecs manterrano gli stessi trattamenti, è anche vero che poi non specifica loro con quali modalità essi verranno garantiti presso il cessionario, il quale potrebbe anche procedere per necessità ad un loro licenziamento. Il secondo aspetto, ideologicamente preoccupante, tocca invece il comportamento assunto dall’azienda verso i propri dipendenti: a loro non è stata infatti data la libertà – insindacabile – di opporsi al passaggio ad un’altra realtà industriale. Un diktat che però contrasta con le normative europee e con quelle italiane, testimoniando il permanere di una mentalità “padronale” che considera i lavoratori come “merce” di sua proprietà. Come sostenuto dalla Cort