Un’indagine condotta su quasi 8.000 medici nel Regno Unito ha evidenziato che il 16,9% di quanti avevano ricevuto di recente un intervento disciplinare inerente alla professione aveva sperimentato depressione da moderata a grave contro il 9,5% dei coetanei non oggetto di contestazioni, oppure uno stato di ansia da moderata a grave, rispettivamente, nel 15% contro il 7,3%. I camici bianchi con denunce recenti o in corso, inoltre, avevano manifestato una probabilità più che raddoppiata di pensieri autolesivi o suicidari.
In aggiunta a ciò, dall’82% all’89% di tutti gli intervistati aveva riferito di praticare una medicina difensiva (iperprescrizione, continui invii per accertamenti, eccessiva cautela) e dal 43% al 50% di evitare i pazienti ad alto rischio. «L’ente regolatore britannico che stabilisce le norme per i medici è il General medical council (Gmc) che, ai sensi del Medical act del 1983, ha il potere di “richiamarli, sospenderli, limitarne la pratica o estrometterli permanentemente dall’albo» spiegano gli autori della ricerca, coordinati da Tom Bourne, dell’Imperial College di Londra.
«Sebbene nella maggior parte dei casi il Gmc chiuda la pratica in fase istruttoria o non prenda alcun provvedimento, vi possono essere conseguenze strazianti per alcuni medici che sono sottoposti a un’indagine Gmc: in tutto, 114 medici sono deceduti mentre erano coinvolti in procedimenti di questo tipo tra il 2005 e il 2013, con un numero di clinici finiti sotto inchiesta aumentato del 18% tra il 2011 e il 2012». I soggetti inclusi nello studio sono stati suddivisi in tre gruppi: con denunce recenti/in corso (n=2.257), con denunce pregresse (n=3.889) e con nessuna denuncia ricevuta ma testimoni dell’impatto sui colleghi (n=1.780).
Nell’esaminare se l’esposizione a un processo di denuncia era associato con l’adozione di medicina difensiva, si è così riscontrato che l’84,7%, il 79,9% e il 72,7% degli intervistati inseriti rispettivamente nel 1°, 2° e 3° del gruppo aveva riferito di aver cambiato il modo di praticare la medicina. «Quello che trovo di nuovo e molto preoccupante in questo studio» commenta Rob Poole, presidente del Royal College of Psyschiatrists in Galles «è il tasso eccezionalmente elevato di pratiche di difesa». La conseguenza di ciò, sostiene, è che si passa dalla sfera delle prestazioni di un singolo medico alla qualità di cure dell’intera comunità.