“Le industrie farmaceutiche devono imparare a conquistare amici senza doverli comprare e i medici devono imparare a valorizzare la credibilità della loro professione senza doverla vendere”, si esprimeva così qualche anno fa il giornalista australiano Ray Moynihan sul British Medical Journal. E’ passato qualche anno e l’intreccio esistente tra medici e industria, nonostante la molta attenzione dedicata all’argomento, non sembra ancora essersi dissolto. Anzi. E questo senza naturalmente tralasciare i meriti delle due realtà e i benefici che hanno apportato alla vita dei pazienti. L’ennesimo capitolo di questa vicenda viene da uno studio del New England Journal of Medicine che si sofferma più nello specifico sui rapporti tra medici e industria, prendendo in considerazione le singole aree terapeutiche.
I molti studi condotti nel passato, dal 1982 al 1997, sottolinea l’introduzione della ricerca, non si sono mai soffermati sulle singole specialità, ne sulle aree geografiche. In più nessuno studio ha considerato possibili fattori predittivi inerenti la pratica medica. Le cose nel frattempo sono cambiate, almeno formalmente. Nel 2002 la Pharmaceutical Research and Manufacturers of America (PhRma), ossia la Farmindustria d’Oltreoceano, ha adottato un nuovo codice deontologico specifico sui rapporti fra medici e industrie, fissando l’obbligo di mantenere relazioni solo allo scopo di beneficiare i pazienti. E di migliorare la pratica medica. Questo significa che le compagnie farmaceutiche non dovrebbero regalare ai medici biglietti per spettacoli, regali vari o rimborsi spese per viaggi e quant’altro.
Con simili premesse l’indagine sistematica pubblicata sul New England e condotta su 3167 medici appartenenti a sei diverse specialità (cardiologia, anestesiologia, medicina generale, medicina interna, chirurgia e pediatria) tra la fine del 2003 e l’inizio del 2004, avrebbe dovuto dare ben altri risultati. Tre le domande base poste dall’indagine: che cosa i medici ricevono dall’industria? Quanto spesso avvengono gli incontri con gli informatori e quali ne sono le conseguenze ? Ecco le risposte.
Ebbene la quasi totalità dei medici, ben il 94%, intrattiene rapporti con le aziende del farmaco. Rapporti significa cene, serate di gala e corsi di aggiornamento offerti dalle aziende, che sono prassi negli Stati Uniti. Uno su quattro inoltre riceve compensi per consulti di vario tipo. Più nel dettaglio il 35% dichiara di aver ricevuto rimborsi per la partecipazione a congressi e meeting, mentre il 28% ammette di percepire somme per consulti, letture o per il coinvolgimento di pazienti in trial clinici. Nello specifico la categoria più “invischiata” è quella dei cardiologi, coinvolti il doppio rispetto ai medici di famiglia. Ma c’è anche un record per i medici di famiglia, che sono i più visitati dagli informatori scientifici. Un discorso analogo vale anche per i pagamenti, con il 18% dei medici pagato per un consulto scientifico e il 26% che ha ricevuto rimborsi per le spese sostenute per partecipare a congressi e convegni scientifici.
Il film è sempre lo stesso, la novità di questo studio sta nell’aver stimato l’importanza della specialità medica e della modalità lavorativa. Già perché il medico di uno studio privato, anche in società con altri colleghi si incontra più frequentemente con il personale delle industrie di quanto non succeda ai medici che operano presso ospedali e cliniche. Forse le linee guida emesse non bastano o forse vanno solo applicate, perché come ha scritto Marco Bobbio, cardiologo torinese che della questione si è occupato molto “il rapporto tra medici e industria è vitale e non deve essere minato da interessi economici che travisano l’informazione scientifica allo scopo di ricavarne un vantaggio economico personale”.
I molti studi condotti nel passato, dal 1982 al 1997, sottolinea l’introduzione della ricerca, non si sono mai soffermati sulle singole specialità, ne sulle aree geografiche. In più nessuno studio ha considerato possibili fattori predittivi inerenti la pratica medica. Le cose nel frattempo sono cambiate, almeno formalmente. Nel 2002 la Pharmaceutical Research and Manufacturers of America (PhRma), ossia la Farmindustria d’Oltreoceano, ha adottato un nuovo codice deontologico specifico sui rapporti fra medici e industrie, fissando l’obbligo di mantenere relazioni solo allo scopo di beneficiare i pazienti. E di migliorare la pratica medica. Questo significa che le compagnie farmaceutiche non dovrebbero regalare ai medici biglietti per spettacoli, regali vari o rimborsi spese per viaggi e quant’altro.
Con simili premesse l’indagine sistematica pubblicata sul New England e condotta su 3167 medici appartenenti a sei diverse specialità (cardiologia, anestesiologia, medicina generale, medicina interna, chirurgia e pediatria) tra la fine del 2003 e l’inizio del 2004, avrebbe dovuto dare ben altri risultati. Tre le domande base poste dall’indagine: che cosa i medici ricevono dall’industria? Quanto spesso avvengono gli incontri con gli informatori e quali ne sono le conseguenze ? Ecco le risposte.
Ebbene la quasi totalità dei medici, ben il 94%, intrattiene rapporti con le aziende del farmaco. Rapporti significa cene, serate di gala e corsi di aggiornamento offerti dalle aziende, che sono prassi negli Stati Uniti. Uno su quattro inoltre riceve compensi per consulti di vario tipo. Più nel dettaglio il 35% dichiara di aver ricevuto rimborsi per la partecipazione a congressi e meeting, mentre il 28% ammette di percepire somme per consulti, letture o per il coinvolgimento di pazienti in trial clinici. Nello specifico la categoria più “invischiata” è quella dei cardiologi, coinvolti il doppio rispetto ai medici di famiglia. Ma c’è anche un record per i medici di famiglia, che sono i più visitati dagli informatori scientifici. Un discorso analogo vale anche per i pagamenti, con il 18% dei medici pagato per un consulto scientifico e il 26% che ha ricevuto rimborsi per le spese sostenute per partecipare a congressi e convegni scientifici.
Il film è sempre lo stesso, la novità di questo studio sta nell’aver stimato l’importanza della specialità medica e della modalità lavorativa. Già perché il medico di uno studio privato, anche in società con altri colleghi si incontra più frequentemente con il personale delle industrie di quanto non succeda ai medici che operano presso ospedali e cliniche. Forse le linee guida emesse non bastano o forse vanno solo applicate, perché come ha scritto Marco Bobbio, cardiologo torinese che della questione si è occupato molto “il rapporto tra medici e industria è vitale e non deve essere minato da interessi economici che travisano l’informazione scientifica allo scopo di ricavarne un vantaggio economico personale”.