di Franca Selvatici per Repubblica Firenze
La più grande azienda farmaceutica italiana, la Menarini, è divenuta tale grazie a una colossale truffa ai danni dello Stato e dei consumatori: è l’accusa che la procura di Firenze muove al presidente onorario della Menarini, Alberto Aleotti, 89 anni, mentre i suoi figli Lucia e Alberto Giovanni e otto collaboratori sono accusati di riciclaggio degli immensi profitti realizzati dal geniale imprenditore, nato poverissimo e divenuto un big dell’industria farmaceutica mondiale. I pm Giuseppina Mione, Ettore Squillace Greco e Luca Turco hanno condensato nella richiesta di rinvio a giudizio gli esiti di un’inchiesta dei Carabinieri del Nas che hanno ricostruito le gesta di Alberto Aleotti, uomo solo al comando di almeno 130 società in Europa, Americhe, Asia ed Australia. Si tratta però solo di un primo capitolo della saga Menarini. Altri restano ancora da completare.
NEL 1994 Alberto Aleotti fu arrestato per corruzione nel corso dell’inchiesta su Sanitopoli. «O pago e sopravvivo, o distruggo l’azienda», dichiarò. E nel ’97 patteggiò la pena. Il direttore generale del servizio farmaceutico del ministero della sanità, Duilio Poggiolini, che grazie alle tangenti si era arricchito al punto che gli sequestrarono beni per 39 miliardi di lire, nelle sue confessioni indicò in Alberto Aleotti, all’epoca presidente di Farmindustria, l’ideatore di un colossale sistema per truffare il Servizio sanitario nazionale, consistente nel sovrafatturare le materie prime (i principi attivi) dei farmaci per ottenere prezzi di vendita del prodotto finito, e conseguenti
rimborsi dal Servizio sanitario, più alti del dovuto. Era l’epoca di Mani Pulite e tutta l’attenzione dei magistrati era concentrata sulla corruzione. Le accuse di Poggiolini restarono al palo.
E’ stata la procura di Firenze, dopo molti anni, a riprendere il filo della farmatruffa. E’ accaduto a partire dal 2008, quando un funzionario della banca Lgt del Principato del Liechtenstein consegnò ai servizi tedeschi la lista di migliaia di conti, fra i quali spiccava, per essere il più ricco, quello di 476 milioni di euro (oltre 900 miliardi di lire) facente capo alla famiglia Aleotti. Le indagini hanno in seguito portato alla luce una rete impressionante di società straniere (fittizie, secondo le accuse), create al solo scopo di triangolare gli acquisti dalle grandi multinazionali di principi attivi che poi venivano rivenduti alle società del Gruppo Menarini a prezzo maggiorato. In tal modo il prezzo di vendita del prodotto finito, che per molti anni è stato parametrato al costo dei principi attivi, risultava indebitamente gonfiato. Secondo le accuse, in relazione a soli sette principi attivi Aleotti avrebbe realizzato fra il 1984 e il 2010 illeciti profitti per 575 milioni di euro, con un danno non inferiore a 860 milioni di euro per il Servizio Sanitario Nazionale.
Quanto ai suoi figl