Variazione del farmaco generico ed aderenza alla terapia
L’aderenza alla terapia diminuisce del 28% se metà delle prescrizioni di farmaci generici viene sostituita con un altro equivalente
Nel corso del convegno organizzato dall’Osservatorio nazionale sulla salute della donna (Onda), in collaborazione con DOC Generici, e voltosi a Milano presso NH Hotel Touring di via Targhetti 7, sono stati presentati i risultai di una studio condotto su un campione di oltre 14.500 pazienti dell’ASL di Bergamo e Pavia, che ha analizzato 6 patologie/aree terapeutiche – diabetologia, cardiologia, dislipidemia, reumatologia, psichiatria e ipertensione – per indagare la relazione esistente tra lo switch tra farmaci equivalenti e l’aderenza alla prescrizione del medico, studiando così gli effetti della sostituzione di un medicinale generico con un altro equivalente in termini di aderenza e persistenza al trattamento terapeutico in atto.
I dati sono stati discussi dal Prof. Alberico Catapano, Presidente della Società Europea dell’Aterosclerosi, il Prof. Claudio Mencacci, Presidente della Società Italiana di Psichiatria, il Prof. Enrico Agabiti Rosei, Presidente della Società Europea dell’Ipertensione, il Prof. Carlomaurizio Montecucco, Direttore SC di Reumatologia, Policlinico San Matteo di Pavia, il Prof. Alberto Margonato, Direttore della Divisione di Cardiologia Clinica, IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano, il Prof. Roberto Trevisan, Direttore dell’Unità di Malattie Endocrine e Diabetologia dell’A.O. Papa Giovanni XXIII di Bergamo ed il Prof. Giorgio L. Colombo del Dipartimento di Scienze del Farmaco dell’Università degli Studi di Pavia. I lavori del convegno sono stati introotti e condotti dalla Dott.ssa Nicoletta Orthmann, Referente medico-scientifico dell’Onda.
Lo scorso febbraio abbiamo presentato i dati di una nostra survey, condotta su un campione di 445 donne, con l’obiettivo di esplorare le modalità di approccio al farmaco generico e il grado di soddisfazione, con particolare riferimento alle conseguenze di un eventuale switch da un farmaco a un altro sulla prosecuzione della terapia. – ha affermato Nicoletta Orthmann, Referente medico-scientifico di Onda – Tre donne
su quattro avevano riferito che la sostituzione di un generico con un altro rappresentava un problema, che nel 19% dei casi si traduceva in una minor aderenza alla terapia (errori di assunzione, sospensione o interruzione). I risultati preliminari dello studio che presentiamo oggi costituiscono la conferma ‘evidence based’ di quanto emerso nella nostra indagine: più aumenta il numero delle sostituzioni tra generici, minore è l’aderenza al programma terapeutico in atto. Per patologie croniche, come quelle prese in considerazione della ricerca, risulta, invece ,cruciale mantenere la continuità terapeutica, anche dopo il raggiungimento dei risultati positivi, per garantire la maggior efficacia e sicurezza del trattamento e ridurre il rischio di complicanze e di ospedalizzazione
I dati presentati nel convegno milanese fanno seguito ad un precedente studio pubblicato su PlosOne nel 2013, che metteva a confronto medicinali generici e branded a brevetto scaduto, da cui era emersa l’equivalenza clinica tra brand e generico e in cui persistenza e compliance erano superiori per il farmaco equivalente.
Lo studio presenta vari aspetti meritevoli di attenzione. – ha dichiarato il professor Enrico Agabiti Rosei, Presidente della Società Europea dell’Ipertensione – Innanzitutto i dati confermano che la pratica della sostituzione di un generico con un altro farmaco equivalente è assai comune, interessando più della metà dei pazienti. Inoltre, lo ‘switch’ spesso avviene ripetutamente, con una frequenza compresa fra un cambio ogni 3 e uno ogni 5 prescrizioni, in relazione alle diverse aree terapeutiche. I risultati evidenziano anche che nei pazienti con ripetuti ‘switch’ vi è una netta caduta della aderenza e della persistenza al trattamento, e ciò richiama l’attenzione sui possibili rischi connessi a frequenti variazioni del farmaco dispensato.
In tutte e 6 le aree prese in esame dallo studio si è riscontrato un progressivo trend di riduzione della compliance a seguito di un cambio di farmaco: in media, se una prescrizione di generico su due viene sostituita con un altro equivalente, per la dislipidemia e il diabete si registra la percentuale più alta di diminuzione dell’aderenza (rispettivamente il 48% e il 36%), seguita dall’area della reumatologia (21%) e della psichiatria (19%) e dall’ipertensione (10%).
Maggiore è il numero delle sostituzioni di medicinali generici, minore è la compliance.
L’aderenza alla terapia e la sostituzione orizzontale dei medicinali equivalenti sono inversamente proporzionali: all’aumentare dello switch da un generico a un altro della stessa molecola, infatti, l’adesione del paziente alla prescrizione terapeutica diminuisce, con un valore pari allo 28% se la sostituzione interessa metà delle prescrizioni. Il calo dell’aderenza alla prescrizione farmacologica implica, quindi, una minore efficacia e sicurezza dei trattamenti terapeutici, con conseguente aumento del rischio di complicanze e di un peggioramento delle condizioni di salute dei pazienti.
Anche nell’area della psichiatria – ha sostenuto il professor Claudio Mencacci, Presidente della Società Italiana di Psichiatria e Direttore del Dipartimento di Neuroscienze dell’Ospedale Fatebenefratelli di Milano – lo studio ha dimostrato che all’aumentare della sostituzione orizzontale tra farmaci generici diminuiscono aderenza e persistenza alla terapia. È fondamentale, come dimostrano le Linee guida AIFA del 2014, che, indipendentemente dall’antidepressivo utilizzato, il trattamento duri almeno 6 mesi nei pazienti affetti da depressione, in virtù dell’alto rischio di recidiva, a cui si attribuisce gran parte dei costi economici e sociali della patologia. Precedenti studi osservazionali hanno dimostrato che quasi il 50% dei pazienti in terapia sospende il trattamento nei primi 3 mesi ed il 70% nei primi 6 mesi. È quindi importante ridurre i fattori che possono influire sulla aderenza alle cure e anche quei fattori biologici che possono interferire con il buon esito clinico raggiunto.
Il consiglio, pertanto, è di mantenere sempre lo stesso ‘brand di generico’ con il quale si è iniziata la cura e raggiunto gli esiti positivi.
I farmaci bioequivalenti non presentano criticità nell’utilizzo clinico sia da parte degli specialisti che della medicina generale – ha affermato il professor Alberico Catapano, Presidente della Società Europea dell’Aterosclerosi – dimostrandosi, in una ampia serie di studi, del tutto equivalenti ai cosiddetti ‘branded’ nella efficacia clinica, misurabile nella popolazione trattata anche attraverso studi di utilizzo ‘real life’. Essi rappresentano, inoltre, un’opportunità per il contenimento della spesa farmaceutica, fermo restando il concetto di libertà di scelta del cittadino. Rimangono alcune barriere ‘psicologiche’ che originano dalla non completa comprensione da parte dei professionisti sanitari (medici, farmacisti etc.) del concetto di bioequivalenza, in aggiunta alla non uniformità delle confezioni che, nel caso di persone anziane, può essere un problema e portare a discontinuità terapeutiche rilevanti.
L’ingresso dei medicinali equivalenti (o generici) nel mercato farmaceutico mondiale è un fenomeno di notevole interesse in termini economico-sociali, che ha modificato significativamente sia le strategie aziendali, sia i comportamenti di tutti gli attori coinvolti nella spesa sanitaria e nella prescrizione dei farmaci. – ha sottolineato il Professor Giorgio L. Colombo del Dipartimento di Scienze del Farmaco, Università degli Studi di Pavia – Tra i numerosi strumenti di “cost-containment” adottati da tutti i moderni sistemi sanitari, particolare interesse meritano quelli che si propongono non tanto di bloccare i consumi, imporre sconti o tagliare prezzi, quanto di aumentare l’efficienza allocativa del sistema, attraverso un ripristino della concorrenzialità del mercato ottenuto stimolando la “price competition” dei produttori, come nel caso dei farmaci equivalenti.
I farmaci OFF patent (a brevetto scaduto) rappresentano, ad oggi, in Italia quasi la metà del consumo territoriale, anche se la maggiore prescrizione si concentra ancora sui prodotti branded (a marchio), a differenza di quanto avviene in altri Paesi europei dove si privilegia il farmaco equivalente puro (unbranded). Tuttavia, la presenza di una quota rilevante del mercato dei farmaci equivalenti puri (unbranded) è una condizione necessaria affinché la concorrenza di prezzo nel settore si possa dispiegare e le aziende, alla scadenza brevettuale, inizino a competere sul prezzo con forti riduzioni e con contemporanei benefici per il sistema sanitario pubblico.
Il paziente, inoltre, quando acquista il prodotto generico a marchio deve pagare una quota ticket a suo carico, mentre questo non avviene per il generico puro, che è completamente a carico del nostro Servizio sanitario pubblico.
In conclusione – ha ribadito il Professor Alberto Margonato, Direttore Divisione di Cardiologia Clinica, IRCCS Ospedale San Raffaele, Milano –
è necessario che, una volta prescritto un farmaco generico, il medico si accerti che non venga sostituito con un farmaco equivalente di diverso produttore.
La variazione delle caratteristiche della confezione, della forma e del colore delle pastiglie possono inficiare questi risultati.
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