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Lo sviluppo di farmaci verso l’open-source?

 

di Roberto Iotti  articolo19 aprile 2013

In molte classifiche economiche dedicate al made in Italy non compare. Eppure assieme a moda, legno arredo, alimentare e ceramica, la farmaceutica è uno dei pilastri più solidi dell’industria italiana. Ma nel manifatturiero il pharma è anche il comparto con i tassi più elevati di innovazione, di investimenti in ricerca, sviluppo e in tecnologia produttiva, con le quote più marcate di internazionalizzazione ed export. Un vero fiore all’occhiello, che sta però perdendo petali in modo preoccupante a causa della sua principale peculiarità: quella di avere come cliente numero uno lo Stato. Uno Stato da anni alle prese con il rebus dei conti pubblici, che – come più volte rimarcato da Farmindustria e dai suoi associati – non ha mai esitato a infliggere drastici tagli ai budget dedicati alla farmaceutica.

Con un primo, macroscopico risultato: dal 2006 a oggi il numero di addetti è sceso di ben 11mila unità. Non a caso più di un industriale farmaceutico usa il paradosso dell’accanimento terapeutico per descrivere questa continua azione di depauperamento. In Italia l’industria farmaceutica è rappresentata da circa 170 impianti produttivi con oltre 64mila addetti (90% di laureati e diplomati) di cui seimila impiegati nell’attività di ricerca e sviluppo. Secondo l’Istat, le imprese farmaceutiche sono le più competitive del manifatturiero made in Italy: fatta 100 la media di tutto il manifatturiero, il pharma è superiore a 150, con una capacità produttiva seconda in Europa solo alla Germania. Il valore alla produzione è di 26 miliardi di euro, mentre la quota dell’export è del 67%. E proprio dall’estero nel 2012 è arrivato un forte segnale positivo con una crescita del 12,5%. Negli ultimi tre anni le esportazioni sono cresciute più di quelle degli altri Paesi della Ue a 15 (+35% rispetto al +19% dell’Europa).

Il mercato interno invece è in costante flessione con un -2,7% nel 2012. Senza la quota export, la produzione dello stesso anno sarebbe crollata del 5,3 per cento. Due ultimi dati da rilevare sulla carta di identità dell’industria farmaceutica italiana. Il primo: il 60% delle aziende in attività sono a capitale estero, il restante 40% sono imprese nazionali, piccole e medie ma altamente specializzate.

Il secondo: ogni anno il comparto investe 2,4 miliardi di cui metà in ricerca e sviluppo e metà in nuovi impianti produttivi ad alta tecnologia. Un aspetto non secondario, perché l’indotto hi-tech che gravita attorno all’industria del farmaco vale, secondo una recentissima indagine di Bcg, oltre 60mila occupati con un export che raggiunge il 95% della produzione. Cioè, alta tecnologia made in Italy installata in tutto il mondo.

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