C’è chi investe quasi cento milioni e raddoppia la capacità produttiva di un solo stabilimento e chi rafforza il sito riorganizzando la ricerca. Chi crede nello sviluppo della banda larga e chi mantiene un prudente status quo, ma crede in una nuova sede e in forti investimenti nelle infrastrutture dei prossimi anni.
Nonostante le difficoltà del sistema Paese, per le divisioni "made in Italy" di alcune multinazionali l’Italia resta un mercato interessante, la cui domanda interna costituisce, per valore, quasi sempre uno dei primi 10 "clienti da soddisfare". Ma è anche, geograficamente, un "ponte" verso il mediterraneo e l’area del Maghreb, realtà sì in forte crescita ma ad altrettanta instabilità.
Le multinazionali che operano in Italia e intendono restarci quasi sempre, però, sono realtà radicate da decenni (in alcuni casi da più di cent’anni) con siti produttivi collaudati e centri di ricerca il cui patrimonio di competenze può non essere facilmente "trapiantabile" altrove. Il problema – come ha dimostrato il dimezzamento degli investimenti esteri in Italia nel 2011 – è però attrarre nuovi soggetti. Ed è qui che il saldo si fa negativo.
«Abbiamo tutta l’intenzione di restare in Italia, dove siamo dal ’71, e la filiale italiana è la seconda dopo quella francese – sottolinea Arturo Zanni, Ad di Sanofi–Aventis Italia –. Manteniamo 6 stabilimenti e 3mila dipendenti. Tra il 2009 e il 2013 stiamo investendo 130 milioni di euro nel potenziamento industriale e 80 milioni nella ricerca. Certo, il centro di ricerca di Milano chiude anche se stiamo cercando qualcuno che subentri, perché il gruppo ha deciso di accentrare in 4 macro-hub nel mondo la propria ricerca scientifica, ma potenzieremo partnership con istituti privati e strutture universitarie. Anche se abbiamo a che gare coi ritardi nei pagamenti della Pa. Alcune regioni saldano la spesa sanitaria anche tre anni dopo». Per la farmaceutica un Paese che invecchia, come l’Italia, è anche un mercato che si consolida.
«Abbiamo investito 70 milioni, tra il 2009 e il 2011, per raddoppiare la capacità produttiva del nostro sito di Bergamo – spiega Enrique Manzoni, Ad di Boehringer Ingelheim Italia – dove sarà prodotto il 50% di un farmaco per la prevenzione dell’ictus già venduto in Usa e Giappone. Si spera presto anche in Italia, perché se in altri Paesi europei un farmaco approvato dall’agenzia europea viene messo in commercio dopo 90 giorni, in Italia l’Aifa si prende altri 12-15 mesi, ritardando la commercializzazione».
«Il nostro impegno è quello di restare in Italia, dove siamo dal ’99 anche grazie alla joint venture nata nel 2007, con i centri di ricerca e sviluppo di Milano e Catania – chiar