L’interruzione di gravidanza durante i primi 180 giorni di gestazione va considerata come malattia determinata dalla gravidanza stessa e dunque i periodi di cura non rientrano nel cosiddetto periodo di comporto. Inoltre, la certificazione dello stato di malattia può essere rilasciata dal medico di base, senza dover ricorrere a uno specialista del Servizio sanitario nazionale. Sono i due chiarimenti forniti dal ministero del lavoro con l’interpello n. 32/2008 al Consiglio nazionale dei consulenti del lavoro in merito all’applicabilità anche all’interruzione di gravidanza entro il 180° giorno dal suo inizio della tutela prevista dall’articolo 20 del dpr n. 1026/1976 in base al quale «non sono computabili, agli effetti della durata prevista da leggi, da regolamenti o da contratti collettivi per il trattamento normale di malattia, i periodi di assistenza sanitaria per malattia determinata da gravidanza». Dopo aver premesso che ai sensi dell’articolo 19 del dlgs 151/2001 (il Testo unico per la tutela della maternità) l’interruzione della gravidanza, spontanea o volontaria, è considerata a tutti gli effetti come malattia, il ministero richiama un suo precedente interpello del 16 novembre 2006 nel quale è stato precisato che il periodo di malattia connesso al puerperio non incide, indipendentemente dalla durata, sul computo del periodo di comporto. Dalla ricostruzione della normativa vigente e dalle disposizioni applicative conseguenti (in particolare, le circolari Inps 139/2002 e Inail 48/1993 e 51/2001), precisa ora il ministero, «emerge con evidente chiarezza che l’interruzione di gravidanza nei casi previsti dagli articoli 4, 5 e 6 della legge n. 194/1978 è qualificata come malattia. Inoltre, poiché la stessa interruzione di gravidanza, avvenuta entro il 180° giorno dall’inizio della gestazione, è qualificata altresì come aborto, ai sensi dell’art 12 del dpr n. 1026/1976, appare legittimo e in assenza di disposizioni contrarie operare una interpretazione sistematica delle norme citate e considerare l’aborto come malattia e nella specie «malattia determinata da gravidanza», stante la connessione naturale tra i due eventi (gravidanza e aborto)». Trova quindi applicazione, secondo il ministero, l’articolo 20 del dpr 1026/1976 sulla non computabilità dei periodi di assistenza sanitaria conseguenti all’aborto nel periodo di comporto.I consulenti del lavoro hanno poi posto al ministero un secondo quesito, ovvero se è necessario, ai fini della prova della morbosità determinata dalla gravidanza, la presentazione di un certificato rilasciato da un medico specialista del Servizio sanitario nazionale ovvero se è sufficiente il certificato rilasciato da un medico di base convenzionato. Il ministero opta per questa seconda soluzione in quanto, spiega, l’articolo 76 del dlgs n. 151/2001 sancisce che al rilascio dei certificati medici previsti dal testo unico, salvo espresse eccezioni, sono abilitati i medici del servizio sanitario nazionale.
ItaliaOggi del 21/08/2008 p. 31
af