I progressi che caratterizzano la tecnologia della stampa in tre dimensioni consentiranno presto ai pazienti cronici di stamparsi a casa i farmaci necessari alle loro terapie. E’ una delle promesse – forse entusiastiche all’eccesso – provenienti dal Dubai Health Forum, il congresso internazionale che mette in vetrina le ultime conquiste della ricerca tecnologica in sanità. Perché le stampanti 3D facciano il loro ingresso nel mercato farmaceutico servirà ancora parecchio lavoro, anche dal punto di vista legislativo, ma dalla città degli Emirati arabi arrivano previsioni comunque ottimistiche sulle prime applicazioni domestiche delle nuove tecnologie. Così come sui costi: la stampa in 3D, dicono gli esperti, abbatterà i costi di parecchi farmaci oncologici, che oggi i sistemi sanitari pubblici e privati fanno sempre più fatica a permettersi.
Qualche esempio? FabRx, un’azienda biotech inglese impegnata nello sviluppo della stampa 3D per la produzione di farmaci e dispositivi, ha presentato a Dubai le sue ultime conquiste in materia di terapie personalizzate. «La nostra idea» ha detto il responsabile sviluppo dell’azienda, Alvaro Goyanes «è quella di portare questa tecnologia negli ospedali, nelle cliniche e nelle case dei pazienti. Nel futuro che immaginiamo, i medici invieranno la ricetta direttamente al malato, che si stamperà per conto proprio i farmaci di cui ha bisogno, nei dosaggi o nelle associazioni necessarie».
Il lavoro dei farmacisti, a quel punto, consisterà nell’individuare i corretti dosaggi di ogni filamento di stampa, dove per filamento si intende la materia grezza usata dalle stampanti per creare il prodotto finale. Saranno le “cartucce” delle stampanti tridimensionali, che ospedali e pazienti acquisteranno per produrre i farmaci in base alle necessità del momento. Ne dovrebbe derivare anche un consistente ridimensionamento del fenomeno dei farmaci contraffatti, perché i filamenti saranno molto difficili da replicare, o almeno così promette l’azienda inglese.
Come detto, perché questo futuro divenga realtà servirà ancora parecchio lavoro. Per esempio, medicazioni stampate in 3D sono già state testate sugli animali, ma non è ancora stato condotto alcuno studio sull’uomo. I sostenitori di tale tecnologia, in ogni caso, restano ottimisti e prevedono che i primi trial verranno avviati nel giro di un paio di anni. Del resto, sottolineano, l’attuale leva economica agisce a favore della ricerca: secondo una ricerca del National Bureau of Economic Research statunitense, dal 1995 al 2013 il costo dei farmaci oncologici è cresciuto ogni anno del 10%; uno studio inglese, dal canto suo, ha calcolato che ogni anno si spendono in tutto il mondo 895 miliardi di sterline in trattamenti antitumorali. La tecnologia della stampa 3D promette considerevoli risparmi nel ciclo produttivo di tali farmaci. E non solo: «Il giorno in cui riusciremo a stampare un rene attraverso “bio-inchiostri” che garantiscono la totale compatibilità con il malato» ha detto Mohammad Al Redha, dirigente della Dubai Health Agency «non avremo più bisogno di donatori». Né di farmaci anti-rigetto.
(AS – 25/01/2017 – Federfarma)
N.d.R.: A quanto ci risulta l’FDA ha approvato una formulazione in compresse a rapida disgregazione prodotta con stampante 3D del farmaco antiepilettico levetiracetam (Spritam). E’ il primo farmaco ad essere prodotto con la tecnologia della stampa in 3D. Durante la produzione, la stampante 3D distribuisce strati di farmaco in polvere e un agente legante in forma liquida che lega fra loro i vari strati. Poiché non vengono utilizzate forze di compressione per la produzione delle “compresse” stampate in 3D, il farmaco risulta solido ma poroso. La velocità e l’entità di assorbimento sono equivalenti alle compresse di levetiracetam (Keppra) a rilascio immediato. Il tempo di disintegrazione della nuova compressa, se assunta con un po’ d’acqua, è di 11 secondi (range 2-27 secondi). La nuova formulazione è adatta per pazienti che hanno difficoltà ad assumere le compresse.
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