Nelle assemblee generali si contesta la possibilità per le multinazionali di alzare i prezzi dei farmaci salvavita rinnovando i brevetti
Valori 29 maggio 2024 di Luca Pisapia
L’azionariato critico all’assalto di Big Pharma. Le aziende farmaceutiche americane stanno affrontando una serie di proteste da parte degli investitori. Nel mirino le grandi multinazionali come AbbVie, Eli Lilly, Gilead, Johnson & Johnson, Merck e Pfizer. Proteste che poi si traducono nei voti alle assemblee generali. All’interno di un complesso industriale gigantesco come quello farmaceutico, che muove oltre milleduecento miliardi di dollari ogni anno, il tentativo è quello di coinvolgere tutti gli azionisti all’interno di campagne che puntano a migliorare l’accesso ai farmaci. E a ridurne i costi.
Oppure a limitare l’estensione dei brevetti. Come hanno fatto i membri investitori del Centro Interfaith sulla responsabilità d’impresa, chiedendo ai laboratori di stabilire una metodologia che consenta loro di valutare l’impatto dell’estensione dei brevetti sull’accessibilità dei prodotti. Quando non si riesce a intervenire nelle assemblee generali, si cerca invece di utilizzare uno dei piani cardine dell’agenda Biden.Cioè l’Inflation Reduction Act, che prevede dei limiti alla negoziazione dei prezzi di alcuni farmaci già presi in considerazione dal programma Medicare di Barack Obama.
I casi di Eli Lilly e AbbVie: due multinazionali che giocano coi brevetti
Ma torniamo alle assemblee generali di Big Pharma. È il secondo anno che l’azionariato critico ha alzato la testa e ha presentato questo tipo di risoluzioni. Riuscendo anche a strappare buoni risultati: poco più del 10% dei voti favorevoli per all’assemblea generale di Eli Lilly e quasi il 30% a quella di AbbVie, secondo i punteggi registrati dai Principi per l’investimento responsabile (PRI). Eli Lilly, universalmente nota per il Prozac, ultimamente si concentra su farmaci per il diabete e l’obesità. In continua crescita, nel 2023 i suoi ricavi hanno superato i 34 miliardi di dollari. AbbVie invece opera nel settore biofarmaceutico e nel 2023 ha un fatturato di 54 miliardi.
Come spiega Cathy Rowan, direttrice degli investimenti socialmente responsabili presso Trinity Health, AbbVie avrebbe aumentato di ben ventisette volte dalla sua creazione il prezzo di Humira, il suo farmaco di punta contro l’artrite. «Vediamo una grande differenza tra l’uso legittimo dei brevetti creati per proteggere i diritti del produttore di un farmaco innovativo e l’uso improprio del sistema dei brevetti per ritardare l’introduzione dei farmaci generici al fine di consentire aumenti di prezzo dei farmaci esistenti», ha scritto sulla rivista Proxy Prewiev.
Le multinazionali del farmaco fanno muro, ma il sentiero è tracciato
Nello stesso pezzo si legge come AbbVie abbia depositato più di 130 brevetti per il farmaco Humira. Creando una sorta di “imbroglio normativo” difficilmente aggirabile dalla concorrenza. E consentendosi così di superare notevolmente la data di scadenza del primo brevetto depositato. La stessa cosa avrebbe fatto Eli Lilly con un farmaco per l’insulina «di cui le persone con diabete hanno bisogno per vivere», come spiega Michael Passoff, direttore generale di Proxy Impact, una società che gestisce i voti per procura in nome della sostenibilità e collabora con diverse campagne dell’azionariato critico.
Nel suo post su LinkedIn poi, lo stesso Michael Passoff ha scritto come la sua società abbia «votato tutte le risoluzioni degli azionisti sulle estensioni dei brevetti di AbbVie ed Eli Lilly». Perché «il prezzo elevato dei medicinali sia un problema oramai troppo comune negli Stati Uniti». Poi ha spiegato come, purtroppo, anche quest’anno «nonostante gli impegni presi dai dirigenti, solo due delle sei delibere degli azionisti depositate (alle assemblee generali, ndr) arriveranno a votazione». La strada sarà ancora lunga, ma il sentiero è tracciato.
Notizie correlate: L’attenzione di Big Pharma al profitto è alla base della carenza di medicinali e della minaccia dei superbatteri