Le fabbriche nelle aree industriali ripartiranno in poco tempo, ma pesano solo per un quinto sul pil della città La parte più rilevante sono il commercio, gli uffici, l’università, che sarà molto più difficile rimettere in moto
Nella città delle serrande abbassate e delle persiane chiuse, non sarà l’industria a rimanere sepolta sotto le macerie del terremoto. I primo tir, carico di vernici in polvere, è partito mercoledì mattina dai capannoni della Inver, nella zona industriale di Bazzano, pochi chilometri a est dell’Aquila. In quelli di fronte della Otefal, alcune linee di produzione di laminati di alluminio verniciato sono già attive mentre la fonderia e il reparto verniciatura lavoreranno a pieno ritmo da oggi. Dall’altra parte della città, nell’area industriale di Pila, negli stabilimenti farmaceutici della Dompè e della Menarini, squadre di operai con i caschetti gialli sono all’opera per abbattere pareti incrinate e consolidare solai pericolanti, a lavorare si ricomincerà, se tutto va bene, il 2 maggio e a pieno ritmo il 7. Ancora a Pila gli uomini della Technolab stanno rimettendo in piedi le parti danneggiate per poter ricominciare a lavorare questa settimana. In alcuni stabilimenti i danni sono maggiori e ci vorranno un mese o due per riportarli alla piena attività. L’Aquila non è più il polo industriale di una volta ma le fabbriche hanno subito danni relativi e in poco tempo sono in grado di rimettersi in moto. Ma non basteranno a riportare la vita, perché il dramma non è lì. Il dramma è nel cuore della città che oggi è fermo e vuoto e che sarà faticoso, lungo e difficile far ripartire. Ha una bella storia questo capoluogo costruito in mezzo alle montagne lungo la via degli Abbruzzi, che nel medioevo collegava il nord d’Italia a Napoli. A quei tempi le pianure costiere erano paludi e Boccaccio e Petrarca per andare da Firenze a Napoli passavano per L’Aquila. L’economia era agricoltura e pastorizia, ma a fare bella la città sono stati i commerci, di lana e zafferano, con Firenze, Genova, Venezia, il nord Europa. I ricchi mercanti costruirono i palazzi e le chiese di quel centro storico che oggi è un cumulo di macerie. E’ andata benissimo fino al ‘600, poi una lenta decadenza fino all’unità d’Italia, poi il declino finché, nel ventennio, un gerarca visionario, Adelchi Serena, non inventa il mito della ‘Grande Aquila’ e lancia lo sviluppo culturale e sportivo della città abbarbicata sulle pendici del Gran Sasso. L’industria arriva quando sulle strutture della Banca d’Italia, che aveva spostato a L’Aquila alcune sue attività durante la Seconda Guerra Mondiale, si insedia la Marconi, un gigante dell’elettromeccanica e delle telecomunicazioni. Poi saranno le partecipazioni statali a prendere il testimone con uno stabilimento dell’Italtel che arriverà ad occupare oltre 5 mila operai, al quale si aggiungerà un impianto della Siemens. Era nato il polo elettronico dell’Aquila, che ha tenuto in piedi la città fino agli anni ’90. Su quelle ceneri è rinato qualcosa, il gruppo Compel, con 400 dipendenti divisi in quattro società una delle quali è Technolab (che ne occupa 160, per il 70 per cento laureati). «Facciamo ricerca e sviluppo per committenti come Alcatel Lucent, Nokia, Siemens dice il direttore Bruno Guardiani – ci occupiamo di telecomunicazioni su fibra ottica, sistemi wireless e ponti radio. Se, come spero, ripartiremo già in settimana, dovremmo riuscire a rispettare i tempi di consegna previsti dai contratti». Sempre nel settore elettronico ci sono Thales Alenia Space e Selex della Finmeccanica e altre aziende di più piccole dimensioni, ma dai 6-7 mila occupati dei tempi del polo elettronico oggi non si arriva