Il beneficiario di quella amnistia mascherata che è l’articolo 19 bis (il 3%) sono gli Aleotti. Il decreto servirebbe ai patron di Menarini srl, vicini a Renzi, mentre B. vuole cambiare la Severino. Il ruolo di Verdini
di Marco Palombi – 3 febbraio 2015 Il Fatto Quotidiano
Questa cosa nasce a Firenze”. Una fonte di governo racconta così, dietro la garanzia dell’anonimato, la genesi del famigerato articolo 19 bis del decreto attuativo della delega fiscale, quello che cancella i reati di evasione e frode fiscale se il maltolto è inferiore al 3% del fatturato: la norma – che a quanto risulta al Fatto Quotidiano preoccupa anche la Procura di Firenze – servirebbe a chiudere il processo apertosi un anno fa contro i vertici della Menarini, colosso farmaceutico con 16mila dipendenti nel mondo, 3,36 miliardi di fatturato stimato nel 2014 e sede nel capoluogo toscano.
Proprietaria del gruppo – che ora possiede anche 1’1 per cento di Mps, dopo essere salita fino al 4 – è la famiglia Aleotti: deceduto il capostipite Alberto, alla guida (e sotto processo) ci sono i figli Lucia e Giovanni, presidente e vice.
I rapporti con l’ex sindaco e quelli con l’ex Cavaliere
Ovviamente conferme ufficiali sulla genesi dell’articolo 19 bis non esistono (a parte l’ammissione del premier al Fatto sui pareri positivi arrivatigli da “grandi avvocati”), ma è un dato di cronaca incontestabile il rapporto tra Matteo Renzi e il gruppo farmaceutico: Lucia Aleotti, per dire, a marzo fu tra i pochi invitati dal premier al suo primo incontro a Berlino con Angela Merkel (gli altri erano Giorgio Squinzi, Fulvio Conti dell’Enel, e Mario Greco delle Generali).
D’altronde la Menarini sa come coltivare le relazioni: quando Renzi era presidente, l’azienda firmò un protocollo con la provincia di Firenze e regalò oltre 600 computer a scuole e associazioni di volontariato; quand’era sindaco Menarini finanziò il recupero di alcuni appartamenti di edilizia popolare. Più significativo, forse, il fatto che l’imprenditore renzianissimo Fabrizio Landi – nominato nel cda di Finmeccanica – sieda anche nel consiglio di tre società del gruppo degli Aleotti: Menarini Diagnostics, Firma e Silicon Biosystem. I rapporti tra Menarini e la politica, comunque, sono una sorta di tradizione: anche col governo di Silvio Berlusconi c’erano contatti più che frequenti.
Ad esempio, agli atti dell’inchiesta fiorentina sulla Menarini – oltre a continui incontri con gli allora ministri Scajola, Fazio, Fitto, Matteoli, Sacconi e a una cena con l’ex Cavaliere – c’è pure una telefonata tra Alberto Aleotti e Gianni Letta: l’imprenditore chiede rassicurazioni su un emendamento e il sottosegretario risponde che se ne occuperà lui (“lo faccio dire io a Mosca dal presidente a Scajola”).
Il processo iniziato un anno fa: danni alla Sanità per 860 milioni
Tornando al decreto fiscale, i vertici della Menarini avrebbero un ottimo motivo per rallegrarsi se passasse con l’articolo 19 bis: un processo in corso a Firenze dal febbraio scorso in cui anche palazzo Chigi si è costituito parte civile (per una coincidenza divertente l’ha fatto il 22 febbraio, il giorno prima dell’insediamento del governo Renzi).
L’accusa per l’azienda è pesante: aver gonfiato – attraverso un raggiro e per quasi trent’anni (dal 1984 al 2010) – il prezzo di alcuni farmaci accumulando nel frattempo fondi neri. Lucia e Giovanni Aleotti, in particolare, sono accusati di aver partecipato a questo sistema inventato dal padre spostando i soldi su 900 conti correnti intestati a 130 società estere fino a usufruire dei due scudi fiscali di Tremonti nel 2003 e nel 2009. Racconto corroborato, dicono i pm, da alcuni indagati che hanno già patteggiato la pena.
Per la Procura Alberto Aleotti (il padre) in questo modo si sarebbe “procurato un ingiusto profitto non inferiore a 575 milioni di euro, con conseguente ingentissimo danno per il Servizio sanitario nazionale non inferiore a 860 milioni”. La dimensione della frode contestata è mostruosa: 1,2 miliardi di euro (la Cassazione, però, ha detto di no al sequestro preventivo). Lucia Aleotti, infine, è accusata anche di corruzione dell’ex senatore Pdl Cesare Cursi.
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Curiosamente anche fonti assai vicine a Silvio Berlusconi confermano la lettura per cui il beneficiario di quella amnistia mascherata che è l’articolo 19 bis sono gli Aleotti (è certo, in ogni caso, che pure quasi tutte le banche italiane avrebbero di che festeggiare).
Secondo questa versione Denis Verdini – ormai uno dei principali collaboratori di Renzi – era informato della cosa, ma avrebbe contribuito a far credere all’ex Cavaliere che quella norma era pensata per lui: “Berlusconi è stato messo in mezzo, ma quella roba gli serve a poco: la pena ormai l’ha scontata e lui infatti continua a chiedere solo la non retroattività della legge Severino sulla incandidabilità, in modo da poter correre nel 2016”. E invece, dicono dal cerchio magico, il premier e Verdini insistono ad agitargli davanti agli occhi l’esca del 3% “salva-Silvia”. Fosse vero, sarebbe solo la conferma che i tramonti possono essere assai malinconici.
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