Fra ricerca e sperimentazione, le big pharma investono miliardi. E vogliono rientrare dei soldi spesi, guadagnandoci. Così i prezzi delle medicine finiscono fuori controllo. Le eccezioni nei Paesi poveri (tollerate dalle industrie) e il ruolo che le agenzie nazionali per i farmaci devono giocare nella definizione dei prezzi
di Adriana Bazzi – Corriere.it Extra per Voi
Prezzi alle stelle, cure interrotte
Parliamo di anti-tumorali, di farmaci anti epatite C su cui, in questo momento, è rivolta l’attenzione di molti, pazienti e medici (perché costano, ma guariscono definitivamente dalla malattia) e anche di vaccini, magari non costosi per noi, ma per i Paesi in via di sviluppo sì. «Se i prezzi delle medicine salgono, finisce che non puoi più permetterti di curarti», titolava qualche giorno fa UsaToday (sfiora l’icona blu per leggere l’articolo) riprendendo uno studio statistico di Bloomberg. Il discorso è un po’ complicato. Vale la pena di focalizzare l’attenzione su due o tre aspetti. Tanto per cominciare non è detto che i farmaci più costosi siano quelli di ultimissima generazione.
L’antitumorale passato da 26 a 120 mila dollari l’anno
E’ curioso il caso del dasatinib (Glivec), un antitumorale introdotto in terapia dall’azienda produttrice Novartis nel 2001: una molecola strepitosa, capace di tenere sotto controllo una rara forma di leucemia (quella mieloide cronica): prima di quella data la sopravvivenza di un malato era di 4 o 5 anni, oggi è sovrapponibile a quella di persone sane. Doveva essere un farmaco di nicchia e l’azienda non sperava in grandi guadagni: all’epoca la terapia costava 26.400 dollari all’anno. Poi, attraverso meccanismi misteriosi, il suo prezzo è lievitato e, oggi, il costo di un anno di terapia raggiunge la cifra di 120 mila dollari, nonostante siano arrivati sul mercato dei prodotti analoghi competitori (il dasatinib della Bristol –Myers e il nilotinib sempre della Novartis) più costosi dell’imatinib. Ma parallelamente alla loro introduzione anche il prezzo del Glivec è aumentato. Stranamente.
Il report-denuncia dell’università del North Carolina
L’analisi è stata condotta da Stacie Dusetzina dell’University of North Carolina a Chapel Hill e riportata dal Washingtono Post. E l’aumento del costo del farmaco, almeno negli Stati Uniti, ha significato per molte persone (che, sì, hanno un’assicurazione, ma che devono contribuire alla spesa per i farmaci) un aumento medio della quota del co-pagamento da 16 dollari al mese nel 2001 a 33 dollari nel 2014. Che per molti significa un impegno economico non da poco, anche perché la terapia va continuata nel tempo. Per l’Imatinib il brevetto sta scadendo, il che aprirebbe la strada alla produzione di generici, a costi più bassi, ma le aziende, pur di mantenere il loro farmaco “branded” sul mercato il più possibile, cercano in ogni modo di dilazionare i tempi (come ha segnalato il Washington Post: la Novartis è in causa con un’azienda produttrice di generici e sta ritardando l’arrivo sul mercato del farmaco non griffato).
Italia: terra di nessuno; rimborsi negati
Gran Bretagna: costi proporzionali ai benefici
La Gran Bretagna si difende negando l’accesso ad alcuni farmaci il cui costo non appare proporzionale ai benefici (per esempio qualche settimana di vita in più per i pazienti). Da notare che il prezzo dei farmaci in Europa è molto più basso che negli Usa perché qui sono gli Stati a contrattarlo con le aziende e non le assicurazioni (come negli Usa). Negli Stati Uniti, come ha appena segnalato il quotidiano Wall Street Journal, il prezzo medio dei farmaci branded (griffati, cioè soggetti a brevetto) è raddoppiato negli ultimi cinque anni. Ed è diventato un tema della campagna elettorale per le elezioni presidenziali.
Il prezzo degli antiepatite C «calmierato» a 30 mila euro
Altro esempio su cui si discute in questo periodo: i farmaci antiepatite C, costosi, troppo costosi, ma capaci di guarire la malattia. Negli Stati Uniti un ciclo di trattamento con il primo arrivato sul mercato (il sofosbuvir- Sovaldi della Gilead) all’inizio arrivava fino a 80 mila dollari; in Italia, trattative segrete con le aziende da parte dell’Aifa, l’Agenzia italiana del farmaco, hanno permesso di ottenere, oggi, nel nostro Paese, i prezzi più bassi in Europa (attorno ai 30 mila euro). Ma attualmente hanno accesso alla terapia solo i pazienti più gravi. Altri sono esclusi. Ma proprio per i farmaci anti-epatite C (e non solo) si è scatenata la guerra dei brevetti. Perché alcuni Stati, India in prima fila, producono forme generiche anche di molecole ancora oggetto di brevetti.
Le molecole copiate in India e Brasile
Succede che alcune aziende multinazionali fanno concessioni (cioè permettono la produzione di generici) a certi Paesi (India, ma anche Brasile, per esempio) in base a diverse considerazioni, soprattutto di ordine economico. Ma i farmaci prodotti come generici da questi Paesi sono destinati al mercato interno e non all’esportazione. Quindi l’antiepatite C a basso costo non è per i malati italiani. Però le aziende stanno chiedendo brevetti anche in questi Paesi: lo ha fatto la Gilead per il suo farmaco anti-epatite C. Ma l’Alta Corte indiana ha rifiutato la richiesta ritenendo il prodotto «non innovativo» ( su questo ci sarebbe da discutere perché lo è) e ha rimandato il dossier all’Ufficio Brevetti.
Medici senza Frontiere contro i brevetti
Anche l’Associazione Medici senza Frontiere (Msf) si è opposta alla domanda di brevetto della Gilead, così come sta facendo opposizione anche a quella dell’azienda Pfizer, sempre in India, per vaccino anti-pneumococco contro la polmonite e la meningite (tra le principali cause di mortalità fra i bambini, soprattutto). Msf auspica che versioni del vaccino più economiche possano entrare sul mercato ed essere disponibili, per i Paesi in via di sviluppo e le organizzazioni umanitarie. Oggi è 68 volte più costoso vaccinare un bambino rispetto al 2001 e Msf chiede alle aziende produttrici di ridurre il costo del vaccino.
Investimenti e introiti delle aziende farmaceutiche
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3 aprile 2016