Quando si parla di Sanità in Italia si tende a sparare sulla Croce Rossa: il primo termine che viene in mente è malasanità con tutti i suoi derivati, liste d’attesa bibliche, pinze e garze nelle pance, errori diagnostici, decessi nelle sale operatorie, ecc. La c.d. malasanità non sarà l’oggetto di questa analisi, se non in via collaterale, in quanto effetto e non causa dell’attuale degrado. Con questo non se ne vuole negare l’esistenza, semmai ridimensionarne l’entità nel contesto di quella che rimane (ancora per poco) la parte migliore della Sanità Italiana, quella clinica, e che grazie al duro lavoro occulto e silenzioso di tanti operatori sanitari, continua a mantenerci (sempre ancora per poco) ai massimi livelli di assistenza mondiali.
La corretta comprensione del fenomeno è possibile solo partendo dall’analisi storica di 2 specifici eventi: la rivoluzione studentesca del 1968 e la riforma sanitaria del 1978. Lungi dal voler entrare nel merito di tali episodi storici, se ne analizzeranno solamente gli effetti che ne derivarono.
Rivoluzione studentesca ’68: le conseguenze pratiche furono:
a) aumento esponenziale della popolazione studentesca universitaria (più o meno in tutte le facoltà) dentro a strutture logistiche, didattiche ed organizzative assolutamente non attrezzate per accoglierla e gestirla. Ne derivò l’abbattimento generale della qualità della docenza e l’aumento della massa dei laureati: nelle facoltà mediche i singoli studenti potevano accedere più difficilmente alle corsie ospedaliere, alle biblioteche, ed in generale potevano avere un contatto meno efficace con il corpo docente, a discapito della formazione teorico-pratica indispensabile in medicina. A questo si aggiunsero certi lassismi di derivazione ideologica (18 politico, liberalizzazione dei piani di studio) che azzerarono la selezione e spianarono la strada ai cialtroni ed agli ignoranti. Risultato: maggiore quantità, minore qualità.
b) In conseguenza di a) si verificò l’aumento esponenziale del numero dei medici in Italia, che ha portato alla decuplicazione del rapporto medici/abitanti dagli anni ’60 al 2000 (tanto da coniare il termine di pletora medica), con una serie di ricadute devastanti molto ben analizzate in un articolo pubblicato nel 2003.
c) In conseguenza di b) fu necessario sconvolgere e riorganizzare le strutture sanitarie italiane per dare lavoro alla pletora medica. Per fare un esempio fu inventata la guardia medica: quello che prima veniva svolto tutto da un’unica figura (il medico di famiglia o il medico condotto), venne suddiviso su due figure (medico curante e medico di guardia medica). Così avvenne per reparti ospedalieri, cattedre universitarie, ecc.: tutte le strutture sanitarie italiane vennero gonfiate a dismisura per decenni, senza che questo evitasse la sottoccupazione/disoccupazione di circa ¼ della popolazione medica (con casi limite di laureati in medicina commessi o camerieri, paragonabili ai medici-tassisti cubani).
Riforma sanitaria ’78: in conseguenza dell’inesorabile indebolimento post-sessantottino della classe medica (da selezionata competente e compatta, a pletorica incompetente e faziosa) si crearono le condizioni ideali per varare la legge 833/78, che istituì il