Continua il botta e risposta a distanza tra governo e Farmindustria. All’associazione delle imprese del farmaco non è infatti piaciuto l’intervento a gamba tesa dell’esecutivo sulla necessità di rendere più accessibile il mercato delle medicine facendo appello direttamente all’OMS.
Tanto meno, sono risultate gradite le espressioni usate dal ministro della Salute, Giulia Grillo, in conferenza stampa quando ha rispolverato un punto su cui Movimento 5 Stelle insiste da sempre: quello della riservatezza delle procedure nelle trattative. I colossi del farmaco, a quanto pare,
NESSUNA TRATTATIVA SEGRETA SULLE MEDICINE
“Per chi paga (Stato, Regione, Asl) i prezzi e gli sconti sono assolutamente trasparenti e quindi non segreti”, è con ogni probabilità questo il passaggio più importante della replica Farmindustria, replica affidata a un comunicato dalle tinte insolitamente stizzite. “La riservatezza della procedura – si legge – serve solo a tutelare l’accordo raggiunto, che prevede lo sconto a vantaggio del Servizio Sanitario Nazionale. Garantendo una più efficace competizione tra aziende, un accesso più rapido alla cura da parte dei pazienti e limitando il fenomeno dell’esportazione parallela, dovuto proprio ai prezzi più bassi che altrove. E non va dimenticato il fatto che gli sconti negoziali molto diffusi aiutano a contenere la spesa su una larga parte del mercato. Inoltre dopo la negoziazione del prezzo, sostanzialmente tutti i farmaci sono soggetti ad altri sconti fissati per legge del 5%+5%, a cui si aggiunge in alcuni casi un ulteriore taglio dell’1,83%”.
RICERCA SULLE SPALLE DEI PRIVATI
Quindi Farmindustria sottolinea come la ricerca sulle medicine sia quasi totalmente a carico delle industrie. “I farmaci contribuiscono all’allungamento e alla qualità della vita, riducendo spesso i costi nelle altre voci di spesa socio-sanitaria, con investimenti in ricerca di 1,5 miliardi di euro all’anno solo in Italia”, scrive l’associazione degli industriali del farmaco presieduta da Massimo Scaccabarozzi. “La ricerca farmaceutica – prosegue – è quasi interamente finanziata dalle imprese: a cominciare dagli oltre 700 milioni all’anno destinati alle strutture pubbliche per gli studi clinici. Il valore della nostra produzione farmaceutica ha consentito all’Italia di essere prima in Europa”.
COSA CHIEDE IL MINISTERO DELLA SALUTE ALL’OMS
Per chi si fosse perso la prima parte della querelle, prima di proseguire è utile fare un breve riepilogo. La proposta italiana, di cui è possibile trovare una sintesi sul sito del dicastero della Salute, chiede all’OMS di raccogliere e analizzare i dati sui risultati degli studi clinici e sugli effetti avversi dei farmaci e delle altre tecnologie sanitarie.
In particolare, nella lettera indirizzata all’OMS, si legge: «Concordiamo con una principale scelta strategica delineata dal Segretariato dell’OMS, ossia che è necessaria un’azione internazionale per migliorare la trasparenza nella comunicazione di: prezzi, costi di R&S (ricerca e viluppo) e costi di produzione di medicinali e vaccini, compresi le fonti pubbliche di finanziamento». Riassumendo brutalmente, ciò che si chiede è un accesso più equo al settore.
COSA CHIEDE FARMINDUSTRIA AL GOVERNO
Torniamo ora al comunicato dalla federazione confindustriale Farmindustria guidata dal direttore generale Enrica Giorgetti: “Le imprese chiedono che siano riconosciuti e valorizzati gli investimenti che continuano a realizzare nel Paese pur a fronte di una spesa per medicinali inferiore agli altri Big Ue. E di certo non in una logica di “ricatto”, un termine improprio e gravemente offensivo che le imprese non possono accettare. Farmindustria ha apprezzato la disponibilità al confronto offerta finora dal Ministro della Salute e dai suoi Uffici. Un dialogo che l’associazione spera possa proseguire anche perché ha consentito di approfondire alcune tematiche e da parte delle imprese di accogliere favorevolmente diversi contenuti. È necessario ricordare che la determinazione del prezzo dei farmaci nel nostro Paese è frutto di analisi dei dossier da parte dell’Agenzia italiana del Farmaco (AIFA), negoziazione con l’azienda produttrice, accordo, contratto tra le parti. Passaggi lunghi – dalla Commissione Tecnico Scientifica (CTS) al Comitato Prezzi e Rimborso (CPR) di AIFA – ed estremamente scrupolosi. Infatti i prezzi sono il risultato di negoziazioni che si firmano in due, che portano a prezzi più bassi rispetto agli altri paesi Ue”.
IL RUOLO DELL’AIFA
Quindi Farmindustria sottolinea che la determinazione del prezzo delle medicine nel nostro Paese è frutto di analisi dell’Agenzia italiana del Farmaco (leggi anche: Perché Italia e Trump vivisezioneranno i prezzi dei farmaci. Parola dell’Aifa): “AIFA firma con le aziende, in particolare sui medicinali innovativi, contratti di rimborso condizionato al risultato del trattamento. In questi casi ingenti somme vengono restituite dalle imprese attraverso il sistema del payback. Di fatto si tratta di un ulteriore sconto che viene detratto dal prezzo ufficiale del farmaco. Il rispetto degli accordi – e quindi dei rimborsi – da parte delle aziende è garantito dai registri AIFA, strumenti che assicurano il monitoraggio continuo dei pazienti in trattamento sia per l’appropriatezza terapeutica sia per i risultati delle cure. I registri, a uso esclusivo di AIFA, sono a costo zero per l’Agenzia, perché a carico delle imprese. È una best practice italiana: il 35% dei contratti mondiali di questo tipo sono in essere in Italia. Gli altri Paesi europei hanno quote sotto il 5%. E ancora: dal 2013 le imprese sono costrette a pagare quote di sforamento dei tetti di spesa palesemente sottofinanziati. Con un’ulteriore riduzione di fatto dei prezzi”.
PAYBACK: E’ DAVVERO NECESSARIO?
Nella guerra sulle medicine che sta scoppiando tra Farmindustria e governo è stato richiamato il payback. Tale meccanismo, introdotto nel 2008, ritoccato sotto Monti nel 2012 e anche dall’ultima Legge di Bilancio, consiste nel porre a carico dei produttori, ovvero le aziende farmaceutiche, parte della spesa farmaceutica, in particolare il 50% degli scostamenti dai tetti di spesa fissati a inizio anno. Il tetto alla spesa farmaceutica viene fissato come una quota pari al 14,85% del fondo sanitario nazionale indistinto. Questo rappresenta gran parte della spesa sanitaria pubblica. Per esempio, nel 2017 la spesa sanitaria pubblica complessiva era pari a 113,6 miliardi di euro e il fondo sanitario nazionale indistinto era pari a 111,9 miliardi di euro. Il tetto alla spesa farmaceutica, fissato al 14,85% del fondo sanitario nazionale indistinto, era quindi pari a 16,6 miliardi di euro. Nato come misura eccezionale per porre un argine agli aumenti della spesa pubblica farmaceutica, a detta di molti il payback si è rivelato uno strumento inefficace, soprattutto per la sua complessità. Come sostiene per esempio un interessante studio pubblicato dall’Istituto Bruno Leoni che si interroga proprio se sia ancora il caso di tenerlo in piedi.
LE NOVITA’ DELL’ULTIMA FINANZIARIA
“La legge di bilancio 2019 – si legge nel documento – ha cambiato metodo di calcolo, delineando un passaggio al calcolo del payback sulla base delle quote di mercato delle varie aziende, che se non altro dovrebbe semplificare di molto le procedure e dovrebbe porre fine all’eccessiva penalizzazione delle aziende in crescita a favore di quelle “mature”. In particolare, si prevede che l’AIFA rilevi il fatturato delle aziende farmaceutiche sulla base dei dati delle fatture elettroniche emesse durante l’anno. Sulla base del fatturato poi AIFA determinerà le quote di mercato di ciascuna azienda, che in ultima analisi serviranno a calcolare le quote di payback dovute dalle singole aziende farmaceutiche”.
LA COPERTURA OFFERTA AI FARMACI ORFANI
La conclusione dell’autore sul nuovo payback delle medicine così come è stato ridisegnato dal governo Conte è la seguente: “L’insieme di queste previsioni, al di là della disciplina pratica, hanno una conseguenza dirompente a livello sistematico. Esse, infatti, implicano che il payback, da misura provvisoria per ripianare, in via eccezionale, il sottofinanziamento della spesa farmaceutica, diventi a tutti gli effetti e in via ordinaria una modalità di finanziamento della stessa”. “In questo modo – viene sottolineato nel documento del Bruno Leoni – si condiziona l’adempimento del servizio sanitario finalizzato a soddisfare, come da programma costituzionale, un diritto fondamentale dell’individuo e un interesse generale della collettività – alle vicende aziendali dei finanziatori del payback (ossia, alle aziende farmaceutiche). La gestione pubblica del servizio sanitario, invece, nasce e si giustifica proprio per sottrarre quel diritto a tali vicende, senza che la salute debba seguire le scelte aziendali, gli errori, i fallimenti, le strategie del settore privato. Mettendo a regime la misura del payback si condiziona dunque, contrariamente al motivo stesso per cui esiste il sistema sanitario nazionale, l’adempimento del dovere di garantire il “diritto alla salute” a dei debitori (le aziende farmaceutiche, ovvero imprese private) che ontologicamente non hanno questo dovere, con tutte le conseguenze pratiche che possono derivarne”.
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