L’industria legata alla filiera della salute, la cosiddetta “white economy”, contribuisce al Pil nazionale per il 10,7% dando lavoro ad oltre 2,4 milioni di persone, circa il 10% dell’occupazione complessiva. È quanto mette in luce il rapporto di Confindustria sulla filiera della salute in Italia, presentato a Roma nella sede di Viale dell’Astronomia e realizzato insieme alle associazioni confederali di categoria che rappresentano la filiera (Aiop, Assobiomedica, Farmindustria, Federchimica e Federterme).
“Dobbiamo avere un concetto largo della sanità: in una società che invecchia come quella italiana il costo deve diventare un investimento, un’opportunità, un’idea di società del futuro ma anche un grande contributo ad attrarre ricchezza nel Paese: l’industria della filiera della salute può essere un driver anche per l’export del Paese” afferma il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia. Secondo il rapporto, il perno decisivo della “white economy” è rappresentato dall’industria privata della salute, un settore in cui i principali indicatori di performance – nonostante la crisi – registrano miglioramenti significativi sia in termini percentuali, rispetto al totale nazionale, sia in termini assoluti.
La filiera della salute privata rappresenta da sola, rispetto all’economia del Paese, il 4,9% del fatturato (144 mld di euro), il 6,9% del valore aggiunto (49 mld di euro), il 5,8% dell’occupazione (circa 910.000 persone) e il 7,1% delle esportazioni (oltre 28 mld di euro) con valori tutti in crescita rispetto al 2008. Un comparto industriale anticiclico, inoltre, quello legato alla salute: di fronte a un valore aggiunto complessivo dell’economia italiana pressoché invariato tra il 2008 e il 2015, quello della filiera è cresciuto del 14,3%. Ancora migliore è il dato dell’occupazione (in gran parte altamente qualificata), in aumento del +3,35% tra i 2008 e il 2015, contro un dato nazionale negativo (-9,2%).