L’industria farmaceutica è sempre più femminile. Perché il 43% degli addetti è donna (contro una media manifatturiera del 25%) ma soprattutto perché poco meno della metà (il 43%) ricopre posizioni di vertice. Un dirigente su tre è infatti una signora (il triplo degli altri settori ) e lo sono anche quattro quadri su dieci (il doppio del totale industria).
Sono i numeri sciorinati con orgoglio ieri mattina dal presidente di Farmindustria Massimo Scaccabarozzi nel corso dell’evento romano «Le donne per la farmaceutica, la farmaceutica per le donne». Non è ancora la parità, ma sicuramente un ottimo segnale. Tenendo conto anche del livello di preparazione delle lavoratrici, per il 90% laureate o diplomate. «Nella farmaceutica le pari opportunità non sono uno slogan. Il contributo femminile – afferma Scaccabarozzi – è fondamentale. C’è un legame profondo tra le nostre imprese e le donne. Imprenditrici, manager, dirigenti. E non solo: nella ricerca, negli stabilimenti produttivi, nell’amministrazione. Insomma in tutti i campi e in tutti i ruoli».
A raggiungere la parità numerica è invece la punta di diamante della ricerca: nei laboratori, sotto le tute asettiche apparentemente uguali, oltre la metà sono donne. «Nel nostro settore – spiega Enrica Giorgetti, direttore generale di Farmindustria – l’innovazione richiede molta tenacia. Basti pensare che solo una molecola su 10mila diventa farmaco ed è qui che la grande capacità femminile di non arrendersi di fronte alle difficoltà fa la differenza». Più in generale, spiega Farmindustria, l’attenzione alla meritocrazia consente alle donne di infrangere il «tetto di cristallo» e di raggiungere posizioni apicali, senza per questo rinunciare alla maternità e alla cura della propria famiglia.
Traguardi raggiunti anche grazie a scelte mirate nella contrattazione di secondo livello. L’industria farmaceutica ha infatti giocato d’anticipo introducendo innovazioni importanti nella conciliazione tra tempi di lavoro e di vita. «Per primi abbiamo abbiamo creato strumenti – continua Scaccabarozzi – per aiutare le famiglie e le donne. Prevedendo ad esempio, in caso di maternità, periodi di aspettativa più lunghi rispetto alla legge e al Ccnl. O introducendo per le neomamme la possibilità dello smart working. Assicurando poi per tutte alcuni servizi come quelli di medicina preventiva focalizzati sulle patologie femminili e quelli per una migliore conciliazione dei tempi di vita e lavoro (asili nido, lavanderia, calzoleria, take away). Possono sembrare delle banalità ma i risultati si vedono nei numeri». Quasi il 70% delle aziende farmaceutiche adotta politiche di welfare (43% negli altri settori), con una quota di servizi che per il 78% deriva da decisioni aziendali. E l’attenzione al femminile è sempre più centrale anche nello sviluppo crescente della medicina di genere, che rappresenta una sfida per le imprese farmaceutiche, da condurre attraverso sinergie pubblico-privato. Dall’oncologia alle cellule staminali, dalle malattie cardiovascolari agli screening basati sulle nanotecnologie e la nutrigenomica i settori coinvolti nella ricerca gender sono sempre di più. E i farmaci in sviluppo per le patologie maggiormente presenti nelle donne sono più di 850 nel mondo. Sul capitolo sanitario, le differenze sono infatti provate ed evidenti. Le donne vivono più a lungo degli uomini (in Italia 85 anni rispetto a 80) ma l’aspettativa di vita in buona salute è minore, si ammalano di più e usano di più i servizi sanitari, sono più soggette a reazioni avverse da farmaci che si manifestano più gravemente che negli uomini.
Serve dunque un grande investimento e un piano a lungo termine. «Perché aiutare le donne – sottolinea la ministra della Salute, Beatrice Lorenzin – significa aiutare una famiglia e un intero pezzo di società. Quindi occorre sia guardare alla crescente popolazione anziana, fatta soprattutto da donne, e a politiche per la natalità che ci portino un nuovo baby boom». E annuncia misure ad hoc. «Proporrò un aumento del bonus bebè, che cresca anche nel tempo». Ma la salute della donna è centrale anche per gli impatti che il suo ruolo di caregiver ha sul welfare generale. E l’allungamento dell’età pensionabile rappresenta un appiattimento che a lungo termine sarà controproducente. Lo sostiene il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso, che ha invitato la stessa ministra Lorenzin e il governo ad aprire un confronto per «rivedere la legge sulle pensioni» definita come «profondamente ingiusta».
Il Sole 24ORE – 08 marzo 2016 – Rosanna Magnano
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