La Ue dipende per il 90% da molecole e principi attivi per le medicine fabbricati da Pechino. Il lockdown ha bloccato l’export. L’allarme: «Pericoloso lasciare in mano di altri la salute»
Una pastiglietta di Tavor contiene un milligrammo di principio attivo che dà al nostro cervello il potere di calmarci, il paracetamolo invece di sostanza antidolorifica ne possiede molta di più, circa 1 grammo. Due farmaci
la Cina è diventata dal 2000 il più grande produttore mondiale di ingredienti farmaceutici e copre il 60% della produzione globale di intermedi fa cui poi derivano i principi attivi o API. Nell’Unione Europea la dipendenza dalla Cina di intermedi è dell’85/90% e del 33% di API. Le aziende cinesi sono poi protette dallo stato e godono di generosi sussidi. Si calcola che gli intermedi prodotti varino fra i 1500 e i 2000.
L’emergenza Covid ha portato ad una carenza di approvvigionamento. Lo stesso presidente di Assogenerici dichiarò che “l’Europa si è scoperta troppo dipendente dalla Cina”. La ragione è che in Cina i costi di produzione sono almeno del 40% inferiore rispetto ai Paesi occidentali.
CPA aggiunge che in Cina possono permettersi di produrre in stabilimenti pericolosi ed inquinanti. Il prezzo da pagare è però la qualità.
Gian Mario Baccalini, vicepresidente dell’European Fine Chemical Group e di Aschimpharma, ha dichiarato che “se da noi il livello di garanzia delle API è 10, perché siamo sottoposti a stringenti controlli, in Cina è 3-4, in India tra il 2 e il 3”. Facciamo un esempio, continua Baccalini: “Un nostro antibiotico normalmente ha una purezza del 99%, quello che arriva dall’India del 70%. Questo significa che l’efficacia di questo farmaco è inferiore”. E in quel 30% di impurezze si nascondono eventuali sostanze nocive.
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