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Jobs Act, un problema di Costituzione

Si riproduce in larga parte un ritorno all’antico, a una logica secondo la quale quello dell’imprenditore è un potere di comando unilaterale. Non c’è più la tutela professionale del lavoratore, ma la semplificazione nella gestione delle risorse umane per il datore di lavoro. Si punta a favorire la mobilità interna, rafforzando il potere unilaterale dell’imprenditore. “Anche in presenza di un inadempimento minimo rilevato con i sistemi di controllo, il datore di lavoro potrà licenziare subendo una sanzione economica quasi irrilevante”. “Un nuovo Statuto dei Lavoratori è la nostra alternativa al Jobs Act”

Tre docenti universitari, esperti di diritto del lavoro, mettono sotto esame la riforma del governo Renzi. Licenziamenti, demansionamento e controllo a distanza: quello che si sostanzia è un tentativo di modifica della Costituzione materiale del Paese.

di Fabrizio Ricci 20 novembre 2015 – rassegna.it


Con il Jobs Act cambiano i rapporti di forza all’interno del mercato del lavoro. Cambiano gli equilibri tra diritti fondamentali, quello del lavoro e quello della libertà di iniziativa economica. Cambia, insomma, seppure senza modifiche formali, la Costituzione materiale del paese, che non è più quella edificata sulle conquiste degli anni ‘70, ma sembra tornata molto più indietro.

È un’analisi molto severa, ma che assume particolare valore perché a svilupparla sono tre “addetti ai lavori”, tre professori di Diritto del Lavoro di atenei diversi, Perugia, Siena e Bologna, chiamati ad esaminare la nuova normativa introdotta dal governo Renzi all’interno di un seminario di formazione, promosso dalla Cgil dell’Umbria a Perugia (il secondo sul Jobs Act, questo era il primo). Seminario introdotto e coordinato da Giuliana Renelli, segretaria regionale Cgil, che ha esaminato nel dettaglio la riforma degli ammortizzatori sociali (“un mare magnum di incertezze”) e animato appunto dagli interventi dei tre “prof” – Stefano Giubboni (Università di Perugia), Giovanni Orlandini (Università di Siena) e Andrea Lassandari (Università di Bologna) – prima delle conclusioni di Corrado Barachetti, responsabile ‘Mercato del lavoro’ della Cgil nazionale.

Stefano Giubboni: “Svuotato lo Statuto dei Lavoratori”

“L’impianto complessivo che emerge dai decreti attuativi del Jobs Act produce uno svuotamento sostanziale della dimensione costituzionale e garantista dello Statuto dei lavoratori”. Per il professor Stefano Giubboni è questo il nodo centrale da cui partire. Lo Statuto è oggi “ridimensionato a legge ordinaria”, con un conseguente arretramento del “potere” dei lavoratori, a tutto vantaggio di “quello privato e di comando dell’imprenditore”. La legge 300/70 aveva infatti posto tre limiti fondamentali che il Jobs Act sostanzialmente scardina: una difesa della professionalità dei lavoratori; confini molto rigidi al potere di controllo e ai connessi poteri disciplinari del datore di lavoro; forti limitazioni al potere di recesso e quindi ai licenziamenti. “Questi erano i pilastri dell’anima garantistica e costituzionale dello Statuto – spiega Giubboni – che escono fortemente intaccati dalla riforma. Siamo sostanzialmente in presenza di un disegno normativo molto chiaro, che produce in larga parte un ritorno all’antico, a una logica secondo la quale quello dell’imprenditore è un potere di comando unilaterale”.

Giovanni Orlandini: “Demansionamento, un vero cambio di prospettiva”

La modifica dell’articolo 2103 del codice civile è, insieme al contratto a tutele crescenti, uno degli aspetti chiave del Jobs Act, per quanto poco al centro dell’attenzione mediatica. “Siamo di fronte ad un tipico esempio di norma pensata come inderogabile dal legislatore, perché concepita per riflettere e rispettare un determinato equilibrio tra principi costituzionali, e per questo sottratta all’autonomia delle parti, che invece viene ora stravolta”, spiega il professor Orlandini. L’articolo 13 dello Statuto dei Lavoratori nasceva proprio “per sostanziare diritti fondamentali del lavoratore, come quello al rispetto e alla crescita della sua professionalità (articolo 35 della Costituzione) e alla dignità (articolo 2), in bilanciamento con la libertà economica”. Principi che – secondo il professore – vengono “sradicati” con la nuova normativa. “Fino ad oggi – spiega Orlandini – la possibilità di demansionare, in una logica strettamente costituzionale, era condizionata esclusivamente all’esigenza di tutelare altri diritti e interessi prevalenti del lavoratore, e solo del lavoratore, come ad esempio salute, maternità, difesa dell’occupazione. Oggi – prosegue il docente dell’Università di Siena – la ratio stessa della norma è mutata: al centro non c’è più la tutela professionale del lavoratore, ma la semplificazione nella gestione delle risorse umane per il datore di lavoro. Si punta a favorire la mobilità interna, rafforzando il potere unilaterale dell’imprenditore”. “La mia impressione – conclude Orlandini – è che il nuovo articolo 2103 sia una fotografia, scattata dal punto di vista dell’attuale legislatore, del cambiamento della Costituzione materiale del Paese che è in atto”.

Andrea Lassandari: “Aperta una falla nel diritto alla privacy”

Il “nodo costituzionale” torna e continua a tornare. Perché anche parlando di controllo a distanza – come fa il professor Lassandari, dell’Università di Bologna – sono evidenti le implicazioni costituzionali, in questo caso non solo sui diritti del lavoratore, ma su quelli della persona a tutto tondo. Parliamo naturalmente di controllo.a.distanzadiritto alla privacy, visto che il Jobs Act consente il controllo del lavoratore, senza necessità del consenso sindacale, laddove questo utilizzi “strumenti di lavoro” forniti dall’impresa. “Si può ben capire – osserva Lassandari – che, con l’evoluzione tecnologica raggiunta, non è difficile per il datore di lavoro fornire al lavoratore strumenti che gli consentano un controllo minuzioso di tutti i comportamenti da lui tenuti, non solo in adempimento degli obblighi professionali, ma anche di carattere strettamente personale”. Questo apre, secondo il professore, un “varco di dimensioni molto importanti, con conseguenze dirette anche sulle sanzioni disciplinari e sulla possibilità di licenziamento”. Possibilità che con il contratto a tutele crescenti è, come noto, molto ampia. “Anche in presenza di un inadempimento minimo rilevato con i sistemi di controllo, il datore di lavoro potrà licenziare subendo una sanzione economica quasi irrilevante”. E questo, precisa Lassandari, se il datore di lavoro rispetta i vincoli ancora previsti per la raccolta delle informazioni sul lavoratore. Ma cosa succede se invece non li rispetta? Le informazioni raccolte sono comunque utilizzabili per licenziare il lavoratore inadempiente? “Questo non è ancora chiaro – conclude Lassandari – si aprono scenari complessi, in un percorso che, di certo, però, è tutto in salita per i lavoratori”.

Un nuovo Statuto per superare il Jobs Act

La dimensione dell’offensiva è dunque chiarissima. La risposta, per quanto riguarda la Cgil, lo è altrettanto e sarà presto presentata nel dettaglio. “Il nuovo Statuto dei Lavoratori è la nostra alternativa al Jobs Act – spiega Corrado Barachetti – una proposta radicalmente diversa e addirittura abrogativa, che di fatto rappresenta una sorta di referendum sulla legge voluta dal governo Renzi in materia di Lavoro. Ma prima di tutto, questo nuovo Statuto dobbiamo sentirlo nostro fino in fondo, sottoponendolo all’approvazione di tutti gli iscritti, con la massima partecipazione. Solo così potremo avere la forza di fermare il processo di regressione e di attacco ai lavoratori che è in atto”.

Video. Esame al Jobs Act

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Redazione Fedaisf

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