Il decreto semplificazioni permette il controllo a distanza senza necessità di un accordo sindacale ad hoc. Il datore potrà accedere a dati e conversazioni anche sui dispositivi personali del dipendente, se li usa per lavoro. Il lavoratore sorpreso a usarli per fini non lavorativi rischierà sanzioni disciplinari. Via libera anche al monitoraggio degli spostamenti. Il giuslavorista: “Rischio di ricorsi per incostituzionalità”
di Stefano De Agostini | 17 giugno 2015 | Il Fatto Quotidiano
Il decreto, che è ora all’esame del Parlamento e a cui il governo dovrà poi dare il via libera definitivo, modifica l’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori, quello sui controlli a distanza in ambito lavorativo. Non ci sono grosse novità per quanto riguarda l’installazione di “impianti audiovisivi“, ovvero le telecamere, per i quali servono ancora l’accordo sindacale o l’autorizzazioneda parte del ministero del Lavoro. Discorso diverso per “gli strumenti che servono al lavoratore per rendere la prestazione lavorativa”, cioè pc, tablet e smartphone, e gli “strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze”, cioè i badge. In questo caso il datore di lavoro potrà controllare i dispositivi senza fare accordi con le organizzazioni sindacali.
Ma nonostante queste tutele, secondo la giuslavorista, un punto del decreto mette comunque a rischio la riservatezza del lavoratore: si tratta della parte che riguarda i badge aziendali. La premessa è che bisogna fare una distinzione tra gli strumenti che registrano ingresso e uscita dal lavoro e quelli che segnalano i movimenti all’interno dell’azienda. “Liberalizzare il controllo sui tesserini con cui si entra e si esce è legittimo, perché permette di tenere traccia degli orari di lavoro – spiega Salimbeni – Ma esistono anche impianti attraverso i quali si possono monitorare gli spostamenti del lavoratore all’interno del perimetro aziendale. Questo controllo più invasivo violerebbe
A questi punti critici se ne aggiunge un altro, che riguarda gli assunti con il nuovo contratto a tutele crescenti in vigore dal 7 marzo. “Se il datore di lavoro – spiega Salimbeni – licenzia un dipendente che è entrato per soli due minuti su Facebook, il licenziamento sarà illegittimo, ma il datore può comunque tenere fuori il lavoratore dall’azienda e pagargli solo un’indennità, senza reintegrarlo a lavoro”. Il relativo decreto del Jobs act, infatti, ha previsto che il giudice del lavoro, in caso di licenziamenti disciplinari, non possa valutare la gravità del fatto commesso, ma debba limitarsi a verificarne la sussistenza. E il combinato con il nuovo provvedimento può dare questo effetto: ogni infrazione a livello disciplinare, anche se gli accordi della contrattazione la identificano come poco grave, può dare luogo a un licenziamento senza possibilità di reintegra.
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Articolo pubblicato il: 18/06/2015 adnkronos
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“La tecnologia ha fatto passi da gigante -spiega- ormai si può vedere tutto a distanza, sia sul cellulare che sui pc. Per non parlare se ci si collega a Facebook. Tra gps e messaggi il controllo è assicurato. Pensiamo solo alla casella di posta -fa notare- che il datore di lavoro concede al dipendente in ufficio per dialogare professionalmente. La posta in oggetto può essere tranquillamente monitorata, anche per esigenze di sicurezza dell’azienda stessa per evitare magari una fuga di notizie”.
“Quello che voglio dire -ribadisce Lodeserto- che, Jobs Act a parte, i controlli non sono una novità e che si possono fare con estrema facilità su ogni singolo strumento che il lavoratore usa: dal telefono fisso, al pc e al cellulare. I controlli di rete non si possono certo oscurare. Certo esiste anche un discorso relativo alla privacy e alla legalità, ma questa è tutta un’altra storia”.
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