Si tratta di “sette lavoratori che provenivano da Alcon, tre da Sandoz e altri da un’altra azienda con sede a Milano”. Sì al contratto a tutele crescenti, ma sì anche alla tutela attiva di lavoratori professionalizzati
Articolo pubblicato il: 23/03/2015 – adnkronos
L’industria farmaceutica ‘sposa’ il Jobs Act, ma non divorzia dall’articolo 18. In che modo? Applicando il nuovo contratto previsto dalla recente riforma del mercato del lavoro, a eccezione della parte che riguarda il licenziamento. Apripista è stata Novartis, che in un accordo siglato la scorsa settimana con i sindacati si è impegnata a “formalizzare la propria scelta di non applicare”, nei confronti di circa 35 nuovi dipendenti, “le disposizioni del contratto a tutele crescenti relative al regime giuridico applicabile in caso di recesso datoriale dal rapporto di lavoro”, recita l’intesa.
L’accordo riguarda “dipendenti – spiega all’Adnkronos Salute Ermanno Donghi (nella foto) segretario della Filtcem Cgil – che lavoravano in altre società del gruppo, trasferiti con cessione di contratto individuale alla sede Novartis di Origgio (Varese). Sono figure professionali specializzate di cui l’azienda aveva bisogno, ma con la cessione c’era il rischio che, pur lavorando da tempo e avendo acquisito importanti competenze, gli si applicasse il nuovo tipo di contratto. Ma nell’accordo abbiamo condiviso che l’azienda non applicherà le nuove norme sul licenziamento. Si tratta dunque di un contratto ‘ibrido’, perché a questi lavoratori sarebbe potuto essere applicato il nuovo sistema. Sarà così, ma non per la parte relativa al licenziamento”.
Si tratta di “sette lavoratori che provenivano da Alcon, tre da Sandoz e altri da un’altra azienda con sede a Milano”, precisa Donghi, per un totale di 35 lavoratori dal gennaio 2015. “Il principio che sta iniziando a passare – conclude il sindacalista – è quindi quello di trovare una forma ‘alternativa’: sì al contratto a tutele crescenti, ma sì anche alla tutela attiva di lavoratori professionalizzati. Questo sarà un elemento importante che penso sarà applicato anche da altre aziende con particolare sensibilità: sui rinnovi contrattuali del settore credo che sia un tema da mettere agli atti, per costruire una nuova storia“.
Da Varese News:
«La concertazione – ha aggiunto Umberto Colombo (Segr. Gen. CGIL Varese) – su cui il governo Renzi vuole mettere la parola fine è lo strumento che ci permette di raggiungere questi risultati. Credo che se il sistema in provincia di Varese ha tenuto in tutti questi anni di recessione, lo si debba anche al senso di responsabilità del sindacato e delle associazioni di categoria e il caso Novartis ne è la riprova».
La Novartis, il cui nome deriva dal latino novae artes (nuove scienze), nasce nel 1996 dalla fusione di Ciba e Sandoz, in Italia ha 4.600 dipendenti, ha tre unità produttive Torre Annunziata (Napoli), Trento e Origgio, in provincia di Varese, dove ha la sua sede principale.
E Novartis offre l’articolo 18 come benefit
Valentina Conte Roma – 27-03-2015 – La Repubblica
I sindacati esultano: «Si può fare a meno del Jobs Act». L’azienda sminuisce. Fatto sta che la Novartis, colosso del chimico-farmaceutico, ha appena assunto tredici lavoratori nella sua sede di Varese, mettendo nero su bianco nel verbale di accordo «la scelta di non applicare nei loro confronti le disposizioni del contratto a tutele crescenti».
E dunque di riconoscere l’articolo 18 a tutto tondo, ovvero la reintegra in caso di licenziamento illegittimo. Una vittoria per i lavoratori, ingegneri e informatici altamente specializzati, alcuni anche con dieci anni di esperienza. Un unicum quello della Novartis, da quando il Jobs Act è legge. Che però potrebbe replicarsi altrove.
L’articolo 18 come benefit? «Non è vietato dalla nuova disciplina, si può fare nei contratti individuali come in quelli aziendali, e il giudice lo riconoscerebbe come trattamento di miglior favore per il lavoratore», spiega Raffaele de Luca Tamajo, giuslavorista. Novartis specifica che qui «si tratta di cessione di contratto tra società del gruppo», ma che «in caso di nuove assunzioni si avvarrà del Jobs Act».
I tredici lavoratori assunti provengono da Alcon e Sandoz, due divisioni della Novartis, è vero. Per Pietro Ichino (Pd) «il vecchio rapporto non si interrompe, non c’era neanche bisogno di esplicitarlo». Ma allora perché l’azienda l’ha fatto? Per «l’assenza di oggettivi precedenti tecnico giuridici», si legge nel verbale d’accordo siglato con Cgil, Cisl e Uil. Insomma «per superare l’incertezza delle nuove norme», spiega Fabio Pennati, Uiltec. «Fatto sta che così si supera il Jobs Act e si torna alla Fornero».
II rischio era «di perderel’articolo18», aggiunge Ermanno Donghi, Filctem Cgil. «E invece lo manterranno, assieme ad anzianità e stipendio». È un tema, questo. Specie per í lavoratori qualificati, non giovanissimi, che cambiano azienda «Certo si può fare, ma non credo sia una tendenza su larga scala», analizza Alessandro Laterza, vicepresidente di Confindustria con delega per il Sud.
«Il fatto però che ogni azienda può andare per conto suo nei contratti non è un fatto positivo, anzi. Si apre un negoziato permanente, quando bisognerebbe spendere tempo per lavorare, non per negoziare». Tornare alla Fornero è «una prerogativa delle parti, non mi scandalizza», aggiunge Mauro Maccauro, presidente di Confindustria Salerno.
«E dimostra come il dibattito sull’articolo 18 sia un tabù politico-culturale, le aziende assumono quando hanno commesse e sono disposte a tutto pur di avere i lavoratori migliori». «È un caso da studiare, senza dubbio, che svela un paradosso, quello sull’articolo 8 di Sacconi sulla contrattazione aziendale, prima osteggiato dai sindacati, ora benefico», osserva Carlo Dell’Aringa, deputato Pd, ex sottosegretario al Lavoro. «Perché no? Io valuterei un contratto con l’articolo 18 come benefit, se individuo un lavoratore che vale», confessa Luciano Ciurmino, patron di Yamamay e Carpisa e deputato di Scelta Civica