L’assistenza sanitaria, insieme alla previdenza, rappresenta un asse portante del welfare. Obiettivo dei sistemi sanitari nazionali è promuovere e migliorare la salute dei cittadini per mezzo di iniziative di educazione, prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione. Gli indicatori sanitari misurano una realtà che, oltre a rappresentare una voce centrale nel bilancio dello Stato, è soprattutto l’elemento primario di programmazione del sistema dell’assistenza sociale. Da oltre un decennio, in Italia e nell’Unione europea, il sistema sanitario è sottoposto a riforme che hanno come obiettivo la razionalizzazione delle risorse e il contenimento della spesa.
In breve
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- Nel 2019, la spesa sanitaria pubblica è inferiore rispetto a quella di altri Paesi europei. La Germania è al primo posto per spesa pro capite.
- Nel 2020, le famiglie italiane hanno contribuito alla spesa sanitaria complessiva per più del 23,0%, ciò colloca l’Italia tra i primi dieci Paesi dell’Ue nella graduatoria per contributo delle famiglie alla spesa sanitaria.
- Nel 2019, i posti letto ospedalieri continuano a diminuire: si contano 3,1 posti letto per 1.000 abitanti (tra i più bassi a livello europeo). Il valore più basso si registra in Campania (2,5), quello più alto in Emilia Romagna (3,7).
- Nel 2020, la pressione sul sistema ospedaliero, causata dalla pandemia da COVID-19, ha ridotto l’accessibilità per i pazienti non-COVID, anche per malattie rilevanti quali le malattie del sistema circolatorio e i tumori. La diminuzione dei ricoveri per queste malattie è differenziata tra le Regioni.
- L’emergenza sanitaria ha determinato una diminuzione della migrazione ospedaliera tra le Regioni, pur mantenendo sostanzialmente immutate le differenze territoriali.
- La mortalità per tumori continua a diminuire (24,3 per 10 mila abitanti, nel 2019) e si riducono le differenze di genere. I tassi più elevati si registrano nel Nord-Ovest (25,2 decessi per 10 mila abitanti), ma Sardegna e Campania hanno i tassi più elevati, a livello nazionale, per la componente maschile della popolazione (rispettivamente 34,9 e 34,5 decessi per 10 mila abitanti).
- In Italia, la mortalità infantile è tra le più basse in Europa; nel Mezzogiorno è più elevata rispetto al Centro-Nord ma, nel 2019, la differenza si è ridotta.
- E’ nel Nord-Est che si registra la più alta quota di consumatori di alcol a rischio (20,6%), al Sud quella di persone obese (12,8%) e nel Nord-Ovest la quota più alta di fumatori (19,3%).
ITALIA UNO SGUARDO D’INSIEME
Nel 2020, in Italia, tra la popolazione di 14 anni e più, la quota dei fumatori è uguale al 18,6% e quella dei consumatori di alcol a rischio al 16,4%, mentre tra la popolazione adulta (18 anni e più) le persone obese sono l’11,5%. Il programma “Guadagnare salute” della Regione europea dell’Organizzazione mondiale della sanità sostiene gli interventi economici, sanitari e di comunicazione, volti a contrastare la diffusione dei principali fattori di rischio quali fumo, alcol, stili alimentari non salutari e sedentarietà (questi ultimi strettamente connessi all’obesità).
Nel 2019, la spesa sanitaria pubblica corrente dell’Italia ammonta a 115 miliardi di euro, pari al 6,4% del Pil e a 1.925 euro annui per abitante.
Nel 2020, le famiglie italiane hanno contribuito con risorse proprie alla spesa sanitaria complessiva (pubblica e privata) per una quota pari a 23,7%, con una diminuzione di 0,04 punti percentuali rispetto al 2004. La spesa sanitaria delle famiglie rappresenta il 2,3% del Pil nazionale.
L’offerta ospedaliera continua a ridursi nel tempo con un conseguente risparmio di risorse economiche. La tendenza verso un modello di rete ospedaliera sempre più integrato con l’assistenza territoriale ha determinato una diminuzione del numero di ospedali, passato da 1.378 nel 2002 a 1.045 nel 2019, e della dotazione di posti letto che, negli stessi anni, è passata da 4,4 ogni 1.000 abitanti a 3,1.
Nel 2020, l’emergenza sanitaria determinata dalla pandemia da COVID-19, ha aumentato la pressione sul sistema ospedaliero, riducendone al tempo stesso l’accessibilità per i pazienti non-COVID. Nel 2020, i ricoveri ospedalieri per 100.000 abitanti, in regime ordinario, per le malattie del sistema circolatorio, sono diminuiti del -20,9% rispetto all’anno precedente (da 1.810 nel 2019 a 1.432 nel 2020); quelli per tumori del -13,0% (da 1.102 a 959). La riduzione è stata ancora più consistente per le donne, tra le quali, i ricoveri ospedalieri per 100.000 abitanti, sono diminuiti: per le malattie del sistema circolatorio del -21,9% (da 1.452 nel 2019 a 1.134 nel 2020); per i tumori del -13,3% (da 1.099 a 953).
Il tasso di mortalità (standardizzato) per malattie del sistema circolatorio (27,8 decessi per 10 mila abitanti, nel 2019), responsabili della maggior parte dei decessi, si è ridotto di circa il 22% negli ultimi dieci anni, sia per gli uomini sia per le donne. Nel 2019, continua a diminuire la mortalità per tumori a livello nazionale (24,3 decessi per 10 mila abitanti), grazie al successo di misure di prevenzione primaria e avanzamenti diagnostici e terapeutici. Gli uomini presentano livelli di mortalità superiori a quelli delle donne, sia per le malattie del sistema circolatorio (33,3 decessi per 10 mila abitanti maschi rispetto a 23,7 decessi per 10 mila abitanti femmine), sia per i tumori (31,9 decessi per 10 mila abitanti maschi rispetto a 18,9 decessi per 10 mila abitanti femmine), ma per i tumori, il divario di genere diminuisce nel tempo. Il tasso di mortalità infantile, importante indicatore del livello di sviluppo e benessere di un Paese, presenta, in Italia, fin dal 2014, un valore di poco inferiore a tre decessi per mille nati vivi e, dopo un periodo di stabilità, nel 2019, risulta sceso a 2,5 decessi.
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Se la sanità rischia di implodere
L’Italia che rinuncia alle cure
Sono sempre di più gli italiani che rinunciano alle cure. Per motivi economici, ma anche a causa delle liste d’attesa. Quanto il SSN italiano stia sempre più scricchiolando lo dicono gli ultimi rilevamenti dell’Istat contenuti nell’indagine “Aspetti della vita quotidiana”, presentata al Senato. Dall’era pre-pandemica al 2022 il numero di chi ha fatto a meno di accertamenti e visite è passato da 3,5 ad oltre 4 milioni, pari al 7% della popolazione. La novità maggiore, però, è che la prima causa del passo indietro sono le liste d’attesa, che hanno frenato il 4,2% della popolazione, mentre per motivi economici è stato il 3,2% degli italiani a rinunciare, contro il 4,9% del 2019.
La rinuncia alle cure, informa la direttrice delle statistiche sociali e del welfare dell’Istat, Cristina Freguja, fa riferimento al totale della popolazione che necessita di visite specialistiche (escluso l’odontoiatra) o di esami diagnostici e che dichiara di averne fatto a meno per motivi economici o per la difficoltà di accesso ai servizi. «Sulle liste di attesa bisogna fare un’operazione che non è solo economica e legata ai soldi, infatti bisogna razionalizzare: ci sono persone che fanno esami inutili ed altre costrette ad aspettare lungamente.
Ci vuole un modello organizzativo diverso e occorre cercare l’appropriatezza», è il punto di vista, poco condiviso dalle Regioni, del ministro della Salute, Orazio Schillaci. Il quale giorni fa ha ribadito poi che «serve mettere nelle agende di prenotazione anche il privato convenzionato», mentre «bisogna dire basta alle liste bloccate che impediscono ai cittadini di prenotare visite e analisi». Un trucchetto che usano le aziende sanitarie tanto pubbliche che private convenzionate, quando in autunno si vedono andare fuori budget. Per ora di concreto c’è lo stanziamento di 500milioni, di cui 150 destinati al privato.
Nel 2022 si è ulteriormente ridotta l’offerta di prestazioni, senza che questa volta si possa attribuirne la responsabilità al Covid. La quota di persone che ha effettuato visite specialistiche infatti è passata in tre anni dal 42,3 al 38,8%, con punte più alte al Sud. La flessione riguarda tutte le fasce di età ma è maggiore negli anziani e tra le donne. «Contrariamente a quanto sarebbe stato auspicabile – sottolinea l’Istat – non sembra quindi che nel 2022 si sia riusciti a recuperare le prestazioni sanitarie al livello pre-pandemia».
Sempre l’Istituto di statistica nota come nella rinuncia alle prestazioni sanitarie questa volta non pesi come nel passato il «gradiente territoriale», che vedeva un minor numero di rinunce al Nord. Una differenza che si è annullata durate la pandemia e che tale è rimasta lo scorso anno. Inoltre «le disuguaglianze sociali nella rinuncia alle prestazioni mostrano, dopo il Covid, differenziali minori» e quindi «anche le fasce più abbienti sembrano aver dovuto rinunciare a prestazioni sanitarie in misura maggiore rispetto agli anni precedenti la pandemia». Due spie che confermano come il problema più urgente sia ora quello della difficoltà ad accedere alle cure a causa dei tempi d’attesa biblici.
(Fonte LA STAMPA)
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