La competitività dei settori e delle imprese appare un fattore cruciale per la fase di ripresa; ne deriva la necessità di avere a disposizione indicatori in grado di misurarne la complessità attraverso una sintesi dei diversi aspetti che la caratterizzano.
Seguendo approcci consolidati, anche per questa edizione del rapporto si è provveduto calcolare per ciascun settore manifatturiero italiano, basandosi sui dati delle statistiche strutturali sulle imprese e del commercio estero riferiti al 2011, un “Indicatore sintetico di competitività” (Isco)
1 che permetta di definire una graduatoria dei 23 settori manifatturieri considerati.
2 Le dimensioni prese in considerazione sono quattro: competitività di costo, redditività, performance sui mercati esteri e innovazione.
3 L’indicatore, che per il complesso dei settori assume valore pari a 100, ha un campo di variazione piuttosto ampio, da un minimo di 48,1 per il settore della riparazione e manutenzione di macchine e apparecchiature a un massimo di 156,5 per l’industria farmaceutica.
In maggior dettaglio, è possibile identificare un gruppo di settori più performanti (la farmaceutica, le bevande, la chimica e la meccanica) che spiegano nel 2011 circa un quarto del valore aggiunto manifatturiero (24,8 per cento); all’estremo opposto i settori delle riparazioni, della stampa, del legno e dei mobili, che rappresentano circa il 10 per cento del valore aggiunto del 2011.
Per il fatturato totale, la quota di imprese in crescita nel periodo considerato varia tra un massimo del 71 per cento per il settore alimentare ad un minimo del 24 per cento per quello dei mobili; nel caso del fatturato interno, la quota passa dal 62 per cento nel settore alimentare al 19 per cento in quello dei mobili; sui mercati esteri, invece, l’incremento del fatturato riguarda una quota di imprese compresa tra il 43 (abbigliamento) e il 73 per cento (farmaceutica).
Variazioni positive o negative del fatturato totale hanno sotteso dinamiche divergenti sui mercati di destinazione. In alcuni settori, infatti, la performance sui mercati esteri è risultata particolarmente brillante, in misura tale da più che compensare il calo sul mercato interno e determinare una variazione positiva del fatturato totale. È il caso dei macchinari (che hanno registrato un incremento del 21,8 per cento all’estero a fronte di un decremento del 15,5 per cento del fatturato sul mercato nazionale), della farmaceutica (con variazioni rispettivamente +22,9 per cento e -5,6 per cento) e della metallurgia (+14,2 e -4,7 per cento).
Alla fine dello scorso anno, metà delle imprese manifatturiere doveva alle vendite sui mercati esteri oltre il 28 per cento dei propri ricavi complessivi (questa incidenza era pari al 22,7% nel 2010). La tendenza è comune alla gran parte dei settori, in particolare farmaceutica, macchinari e pelli.
Anche avere delocalizzato prima del 2011 ha contribuito in diversi settori a limitare la probabilità di registrare una performance negativa sui mercati interni ed esteri: è il caso dei comparti della farmaceutica, dei prodotti della lavorazione di minerali non metalliferi, della stampa e delle altre industrie manifatturiere.
Tra le imprese che hanno dichiarato di avere riorganizzato la filiera produttiva in direzione di una maggiore frammentazione attraverso l’esternalizzazione di fasi o attività già svolte all’interno vi sono principalmente gli altri mezzi di trasporto (più del 50 per cento) seguiti dalla farmaceutica (32,7 per cento).
ISTAT. La manifattura italiana durante la crisi 2010-2013: vincitori e vinti [estratto]
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