A fronte di una partecipazione del 15% le federazioni e i collegi NON rappresentano il restante 85% delle professioni
20 AGO – Gentile Direttore,
Desidero intervenire sulla questione relativa ai collegi delle professioni sanitarie e alle loro rappresentanze federative, Ipasvi e Federazione Tsrm
Premetto che condivido i contenuti delle note del Dott. Bottega e di Ivan Cavicchi, soprattutto nel momento in cui viene evidenziata la anacronistica, inopportuna e francamente fastidiosa volontà di mantenere viva, nonostante il contingentamento delle attribuzioni di collegi e federazioni operato dalla legge, una zona franca nella quale continuare ad operare liberamente senza rendere conto di come vengono spesi i soldi pubblici provenienti dalle tasse versare dai rappresentati dei collegi o presunti tali, vista la obbligatorietà della iscrizione all’albo.
Proprio questo punto andrebbe approfondito, tanto per saggiare la effettiva “rappresentatività” di questi enti: se l’iscrizione non fosse obbligatoria, quanti professionisti del pubblico e privato accreditato sarebbero iscritti ai collegi?
Soprattutto, quale sarebbe l’effettivo peso “politico” dei collegi e delle federazioni?
Andrebbe infatti analizzata la scarsa partecipazione alle elezioni dei rappresentanti di questi enti pubblici, della quale non ho e non so se siano mai stati forniti dati ufficiali ma che stimerei, per eccesso, oscillante in un arco compreso tra il 10 e il 20%; a questo punto il discorso potrebbe continuare lungo due direttrici:
-La prima relativa al disinteresse della maggioranza per una istituzione ritenuta evidentemente distante e poco utile ai fini pratici, considerato anche che contrattualmente le due Professioni Sanitarie dotate di collegi sono inquadrate allo stesso livello delle altre Professioni Sanitarie delle quali non mi pare si possa dubitare dell’elevato grado di professionalità e preparazione, né della qualità delle prestazioni erogate.
-La seconda è che una piccola parte decide per tutti; certo, sono i rischi della partecipazione democratica, ma si potrebbe anche affermare, ad esempio che a fronte di una partecipazione del 15% le federazioni e i collegi NON rappresentano il restante 85% delle professioni.
Vorrei dunque soffermarmi proprio sulla obbligatorietà della iscrizione all’albo dei collegi professionali, visto che è da questa fonte, ovvero dalle tasse dei dipendenti pubblici e del privato accreditato, che collegi e federazioni traggono il 95% del loro sostentamento economico.
Partirei dalla sentenza della Cass. pen., Sez. VI, del 13 febbraio 2009, n. 6491 , con la quale si afferma un importante principio, ovvero che i soggetti operanti nel SSN, pubblico e privato accreditato, non hanno necessità di iscrizione all’albo del collegio in quanto la loro attività non è libero esercizio professionale ma, essendo espletata nell’ambito della organizzazione predisposta dal datore di lavoro, fa si che l’utenza non abbia un rapporto diretto con il singolo operatore, ma si affida alla garanzia fornita dalla struttura nel suo complesso.
In pratica, verrebbe meno la stessa finalità della iscrizione all’albo del collegio, che è quella di portare a conoscenza del pubblico chi sono i soggetti autorizzati ad esercitare la professione, visto che le l’attività e il possesso dei titoli abilitanti all’esercizio della professione sono, rispettivamente, valutate e certificate dalla stessa struttura del S.S.N. erogante il servizio, sia essa pubblica o privata, accreditata o autorizzata.
Dato, però, che i fatti oggetto della sentenza sono antecedenti al 2006, la (presunta) obbligatorietà sarebbe ricavabile dal disposto di un intervento legislativo successivo, ovvero del comma 3 dell’articolo 2 della Legge 43/2006 “L’iscrizione all’albo professionale è obbligatoria anche per i pubblici dipendenti…”. e da successive disposizioni dello stesso tenore. Ma quale sarebbe la novità introdotta dalla L.43/06, visto che la obbligatorietà della iscrizione all’albo era prevista anche da normative antecedenti i fatti oggetto della sentenza della cassazione?
Senza andare troppo lontano, prendiamo proprio i profili professionali dell’Infermiere e del tecnico di radiologia, due Decreti Ministeriali che, nell’individuare la figura dei professionisti, considerano l’iscrizione all’albo una componente essenziale per integrarne il profilo professionale.
* Decreto Ministeriale 746/94 profilo professionale Tecnico di radiologia: “E’ individuata la figura del tecnico sanitario di radiologia medica con il seguente profilo: il tecnico sanitario di radiologia è l’operatore sanitario che in possesso del diploma universitario abilitante e dell’iscrizione all’Albo professionale, è responsabile ………..”
* Decreto Ministeriale 739/94 profilo professionale Infermiere: “E’ individuata la figura professionale dell’infermiere con il seguente profilo: l’infermiere e’ l’operatore sanitario che, in possesso del diploma universitario abilitante e dell’iscrizione all’albo professionale e’ responsabile…….”.
Tra l’altro, va considerato anche che lo stesso articolo 2229 c.c., “Esercizio delle Professioni Intellettuali” , spesso citato per confortare la obbligatorietà della iscrizione all’albo, prevede che la legge determini “le professioni intellettuali per l’esercizio delle quali è necessaria l’inscrizione in appositi albi o elenchi”; solo che l’articolo in parola è inserito non al titolo II del libro V del codice civile “del lavoro nell’impresa”, che si applica al personale del SSN in virtù del D.lgs 29/93 e s.m.i. (ora D.lgs 165/01 comma 2 art. 2) , ma al successivo titolo III “del lavoro autonomo”, e precisamente al capo II “ Delle Professioni Intellettuali” a conferma che l’iscrizione in albi od elenchi può essere prevista dalla legge solo per coloro che lavorano autonomamente e non per coloro che operano in regine di lavoro subordinato ex art. 2094 c.c..
Ritornando al punto, visto che i profili professionali sono recepiti nei C.C.N.L. e considerato che il principio dettato dalla Cassazione è successivo ai citati decreti, quale logica ha affermare che solo in base ad una mera ridondanza normativa, probabilmente supportata dagli stessi enti in nome di una presunta rappresentatività, si debba evitare di applicare il principio dettato dalla Cassazione, più in linea con lo sviluppo delle prestazioni e della offerta di salute garantita alla popolazione non certo da collegi e federazioni, ma dall’evoluzione del S.S.N. nel suo complesso?
Pasquale Cerino (componente segreteria provinciale Cisl FP Irpinia Sannio. Rsu A.O. Rummo)