Innovazione farmaceutica e diritto: per la crescita del Paese servono norme certe e coerenti
Oggi più che mai si può dire che l’innovazione e i diritti di proprietà intellettuale che la proteggono e la incoraggiano sono il cuore stesso dello sviluppo del mondo.
Probabilmente il punto di svolta di questa evoluzione è rappresentato dal TRIPs Agreement (Agreement on Trade Related Aspects of Intellectual Property Rights), adottato a Marrakech nel 1994 contestualmente all’istituzione del World Trade Organization e con il quale il blocco dei Paesi allora economicamente più progrediti, con in testa gli Stati Uniti, subordinò la liberalizzazione del commercio mondiale proprio al rispetto da parte di tutti i Paesi aderenti al WTO di certi standard di protezione dei diritti di proprietà intellettuale: questi diritti sono infatti il più importante “valore aggiunto” del nostro tempo e dunque un elemento chiave per la competitività delle imprese.
A fare la differenza sono l’efficienza di questa protezione e la coerenza degli istituti posti a tutela della proprietà intellettuale con le altre norme dell’ordinamento, in modo da attribuire alle imprese la possibilità di valorizzare tutte le esternalità positive derivanti dall’uso dei loro diritti, vietando ogni forma di free-riding e di sfruttamento parassitario dei loro investimenti. Mentre però sotto il primo profilo l’Italia è incredibilmente all’avanguardia, grazie a un sistema di Corti specializzate e a norme speciali considerate best practice a livello europeo, sotto il secondo il nostro Paese soffre spesso di una sorta di schizofrenia normativa: da un lato infatti si proclama di voler incoraggiare la ricerca e le imprese innovative, dall’altro si contraddicono le parole con i fatti.
Emblematica di questa schizofrenia è la disciplina della cosiddetta equivalenza terapeutica, nata nell’ambito del diritto sanitario con l’obiettivo di favorire il contenimento della spesa sanitaria e che consente alle Regioni di mettere a gara in un unico lotto funzionale farmaci basati su principî attivi diversi, purché aventi le stesse indicazioni terapeutiche: senza rendersi conto che anche le norme relative alla spesa del SSN devono essere inquadrate nel contesto della ricerca farmaceutica e quindi rispettare i diritti esclusivi che da questa ricerca – spesso frutto di investimenti rilevantissimi – derivano.
A monte della tutela di un diritto di brevetto vi è infatti un’attività di ricerca che nel caso farmaceutico, in particolare, comprende anche tutta l’attività susseguente che sta tra la brevettazione e il momento in cui il prodotto sarà in grado di arrivare sul mercato, il che non è affatto scontato che avvenga.
Un approccio a questa materia che sia effettivo nel garantire la tutela brevettuale che giustamente spetta all’innovatore deve perciò tener conto del fatto che uno stesso problema tecnico può essere risolto in una pluralità di modi diversi, dando luogo a invenzioni e brevetti distinti e che quindi principî attivi diversi, pur indicati per la medesima patologia, non possono essere messi sullo stesso piano: chi ha conseguito un nuovo farmaco o un nuovo procedimento che non rientra nell’ambito brevettuale non può infatti pretendere poi di far avere al suo prodotto la stessa collocazione insieme a quello coperto dall’altrui diritto tutelato nell’ambito della stessa valutazione di “equivalenza terapeutica”.
Deve quindi essere riservata solo al medico la scelta se prescrivere l’uno o l’altro, senza che sia possibile imporne la sostituibilità fuori dal caso della bioequivalenza, che presuppone l’identità del principio attivo e di regola anche quella delle modalità di somministrazione. In questo senso la logica del sistema brevettuale applicata al settore farmaceutico converge nei risultati con l’esigenza della tutela della sicurezza dei pazienti e della libertà dei medici, ai quali lo switch da un farmaco ad un altro non può essere imposto, se non quando risulti che l’uno può essere indifferentemente assunto al posto dell’altro sulla base di un adeguato supporto scientifico/sperimentale.
Solo in questo modo è possibile configurare un equilibrio tra gli interessi dei diversi attori coinvolti (il titolare del brevetto farmaceutico, i suoi concorrenti, le istituzioni pubbliche, i medici e i pazienti), conforme a un corretto bilanciamento dei diversi diritti di rango costituzionale in gioco e alla funzione che la protezione dell’innovazione nel campo farmaceutico deve svolgere nella realtà economica e nel “mondo della vita”.