Dal 2013 al 2015 negli ospedali pubblici italiani ci sono stati 6.332 test, 1.923 dei quali no profit
Pubblicato il 08/11/2018 da LA STAMPA – di Paolo Russo
Una buona notizia per la nostra sanità, presa tra l’incudine delle ristrettezze di bilancio e il martello dei costi dell’innovazione. Dal 2013 al 2015 gli ospedali pubblici italiani hanno aperto le porte a 6332 sperimentazioni di nuovi medicinali, tra le quali 1.923 no profit. Un trend in crescita se si calcola che nel triennio 2000-2002 l’Aifa ne aveva autorizzate 1.722, poco più di un terzo di quelle for profit rilevate nei tre anni presi in esame dallo studio condotto da Fiaso, la Federazione di Asl e ospedali, presentato a Roma nel corso della Convention del management sanitario, promossa dalla stessa Federazione dal 7 al 9 novembre.
Dati confortanti non solo per aziende sanitarie, industria del farmaco e ricercatori, ma anche per i pazienti, perché la lenta risalita italiana verso posizioni di leadership nella sperimentazione, ricoperte fino ai primi anni ’90, significa maggiore conoscenza da parte dei medici delle nuove armi terapeutiche e più rapida immissione in commercio dei prodotti innovativi. Che promettono di migliorare le cure soprattutto nell’area oncologica, nella quale è stato impegnato il 16,5% dei ricercatori interessati complessivamente dalle sperimentazioni cliniche. Al secondo posto l’area della pediatria, con il 9,6%, seguita dall’ematologia con l’8,4%, dall’area neurologica (7,9%) e da quella cardiologica (5,6%).
Lo studio realizzato da Fiaso in collaborazione con Farmindustria e l’Alta Scuola di Economia e Management dei Sistemi Sanitari dell’Università Cattolica di Roma, Altems, rileva che la rinascita della ricerca c’è anche se l’Italia può e deve ancora recuperare terreno in Europa, dato che le sperimentazioni cliniche di farmaci autorizzate dall’Aifa nel 2017 rappresentano il 18% di quelle che hanno avuto il via libera nell’area Ue.
«La medicina è la scienza del probabile, per questo è importante che si continui a ricercare confrontandosi con gli altri e verificando di volta in volta i risultati acquisiti -, commenta Mario Clerico, presidente del Cipomo, il Collegio dei Primari oncologi ospedalieri – Una struttura che fa ricerca diffonde più conoscenza, non solo sull’uso ottimale dei nuovi farmaci, ma anche rispetto alle possibili varianti di una malattia e questo è tanto più importante in un settore come l’oncologia, dove l’individuazione delle variabili è essenziale al fine della messa a punto di terapie sempre più mirate ed efficaci».
Nel triennio 2013-15 l’indagine Fiaso conta inoltre 507 studi su dispositivi medici, 2.865 altre sperimentazioni e 3.596 studi osservazionali, quelli che studiano le cause delle malattie ricercando la relazione tra i fattori di esposizione e le malattie stesse. In totale 13.300 studi, con una media di oltre 100 per ciascuna azienda ospedaliera, universitaria ed Irccs delle 42 prese in esame.
Importanti anche i numeri sulla ricaduta economica delle sperimentazioni, che per ciascuna azienda sanitaria hanno generato nel triennio 4 milioni di finanziamenti privati e 5,5 milioni di finanziamenti pubblici nell’ambito del campione osservato, a smentire il luogo comune che in sanità vuole la ricerca interamente in mano al profit.
«Dati che testimoniano la buone performance organizzative delle nostre aziende sanitarie e la sensibilità del management sulla necessità di implementare la ricerca, nonostante persistano ancora difficoltà legate a procedure burocratiche farraginose e a tempi non sempre brevi di risposta da parte dei Comitati etici», commenta il presidente Fiaso, Francesco Ripa di Meana.
«La ricerca è il cuore pulsante del’ industria farmaceutica – afferma il presidente di Farmindustria, Massimo Scaccabarozzi- e lo dimostrano i 700 milioni investiti nel 2017 in studi clinici. E tre imprese su quattro prevedono un aumento degli investimenti in ricerca nei prossimi 3 anni». Un dato importante anche sulla tenuta dei conti sanitari, perché come ricorda Farmindustria un euro investito in studi clinici ne fa risparmiare due al Ssn perché a carico dell’industria ci sono tutti i costi del paziente inserito nello studio.