Nel Regno Unito si sta sperimentando da giugno la settimana breve di 4 giorni lavorativi. All’esperimento partecipano più di 70 aziende e 3.300 persone che lavorano l’80% delle loro ore abituali guadagnando lo stesso stipendio.
Lavorare meno ore, guadagnando e producendo come prima. È questa l’ambizione del progetto.
I dipendenti delle aziende partecipanti, nei prossimi mesi, metteranno in pratica il modello “100:80:100”, ovvero guadagneranno il 100% del loro stipendio, lavorando l’80% del loro orario precedente, pur mantenendo il 100% della loro produzione.
Secondo una recente indagine statunitense citata da Quartz il 92% dei lavoratori adulti ha dichiarato che preferirebbe lavorare 10 ore al giorno per 4 giorni, anziché 8 ore al giorno per 5 giorni.
Sebbene questo sia il più grande esperimento in materia, sono sempre di più i Paesi che si mettono alla prova. Negli Stati Uniti, in Europa, in Medio Oriente e in Asia, il numero di aziende e governi che hanno scelto la settimana di quattro giorni continua a crescere.
In Europa in Paesi come Belgio (dove la settimana corta è già una realtà da febbraio), Scozia e Spagna (che la stanno sperimentando ora) “è stato registrato un aumento della produttività, dal 10% fino anche al 40%, a fronte di una diminuzione delle ore lavorate anche del 20%”.
Un francese lavora 1.514 ore l’anno, con le quali riesce ad assicurare un Pil pro capite di 43 mila euro. Oltralpe il tasso di occupazione è al 70%, la disoccupazione all’8,8% e il 75% dei laureati trova lavoro a tre anni dal conseguimento del titolo”.
In Germania si lavora in media 1.356 ore anno, il Pil pro capite ammonta a 48 mila euro, quindi un tedesco guadagna 6 mila euro in più di un francese, lavorando 200 ore in meno di lui. L’occupazione in Germania è al 79%, la disoccupazione al 3,8%, a tre anni dalla laurea trovano lavoro 93 persone su 100.
In Italia, invece, si lavora in media 1.723 ore l’anno, assicurando un Pil pro capite di soli 35.865 euro. L’occupazione da noi si ferma al 59%, mentre la disoccupazione sale al 9% e dopo tre anni dalla laurea solo 52 giovani su 100 hanno trovato lavoro.
Il confronto con gli altri paesi non lascerebbe margine di discussione
Su Collettiva.it, portale sindacale, leggiamo. L’esperimento della Gran Bretagna è monitorato da un gruppo di ricercatori indipendenti facenti capo a istituti di ricerca sociale ed economica delle università di Oxford e Cambridge, oltre che del Boston College negli Usa. L’esperimento avrà termine nel mese di novembre, con un momento intermedio di valutazione i cui risultati sono stati resi noti proprio in questi giorni.
Alla luce dei risultati della valutazione di metà percorso, nei giorni scorsi i principali giornali e organi di informazione in Gran Bretagna hanno dato grande risalto a quanto emerge dallo studio. Ebbene, in estrema sintesi, possiamo affermare che la settimana lavorativa di quattro giorni non è più un “sogno del futuro”, dato che 9 imprese partecipanti all’esperimento su 10 hanno dichiarato di voler mantenere il nuovo orario anche dopo la fine del periodo di prova. In metà delle imprese la produttività si è mantenuta più o meno allo stesso livello con quattro giorni lavorativi invece che cinque, mentre nel 34 per cento del campione la produttività è “leggermente aumentata” e nel 15 per cento è “significativamente aumentata”.
Il sito di Bloomberg, società multimediale internazionale, ha scritto che la settimana di quattro giorni funziona e, oltre a riportare i dati riguardanti gli effetti della riduzione dell’orario di lavoro sulla produttività, ha evidenziato come per il 78 per cento dei dirigenti delle aziende coinvolte la transizione al nuovo orario è stata buona o comunque senza conseguenze, mentre per l’88 per cento la settimana più corta va bene.
Il più austero The Times si è limitato a sottolineare come la settimana lavorativa di quattro giorni sia supportata dall’86 per cento delle imprese coinvolte nella sperimentazione, con una sobrietà di toni analoga a quella adoperata dalla rivista di business Fortune, espressione di interessi e punti di vista riferibili al mondo dell’impresa e della finanza, che ha commentato: “Sapevamo già che ai lavoratori la settimana di quattro giorni piace. Ora sappiamo che piace anche ai loro datori di lavoro”.
Sul sito internet di The Guardian si legge un commento che allarga l’analisi degli effetti della riduzione dell’orario di lavoro alla condizione economica delle famiglie e dei lavoratori britannici. Secondo il giornale, notoriamente su posizioni progressiste, il think tank all’opera per valutare a metà periodo l’esperimento di riduzione dell’orario di lavoro in Gran Bretagna conferma che la settimana lavorativa di quattro giorni potrebbe alleviare i disagi creati dall’aumento del costo della vita. “I benefici della settimana a trentadue ore sulla produttività sono già noti, ma ora emerge come i lavoratori con figli potrebbero risparmiare migliaia di sterline sui costi per baby sitter e mezzi di trasporto per andare al lavoro. Nel momento in cui il prezzo dell’energia elettrica è ai massimi livelli, questi risparmi appaiono decisivi per permettere ai lavoratori di far quadrare i conti ogni mese. Una settimana lavorativa di quattro giorni senza riduzione di salario potrebbe giocare un ruolo cruciale per alleviare i costi causati dalla crisi energetica”.
L’articolo di commento apparso sul sito internet Metro.uk contiene un interessante riferimento alle conseguenze positive per l’ambiente che la riduzione dell’orario di lavoro potrebbe determinare, insieme agli effetti benefici sui bilanci familiari. L’articolo riporta il dato secondo cui dalla valutazione di metà percorso emergerebbe come
la settimana lavorativa di quattro giorni potrebbe ridurre di 127 milioni di tonnellate le emissioni annue di gas serra e, in generale, di sostanze climalteranti in Gran Bretagna. Il giornale conferma poi che lo studio condotto a metà dell’esperimento indica anche che la settimana lavorativa più corta potrebbe alleggerire la pressione indotta dalla crisi energetica sul costo della vita e rendere più agevole conciliare lavoro e vita privata, specie per chi all’attività lavorativa deve affiancare la cura di bambini, anziani o persone non autosufficienti. La ricerca ha evidenziato come ogni anno un lavoratore o una lavoratrice con un bambino sotto i due anni potrebbe risparmiare circa 1.440 sterline sui costi per l’accudimento del figlio e circa 340 sterline sui costi per il pendolarismo, avendo la possibilità di lavorare un giorno in meno alla settimana.
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