Al fine di dare un contenuto al concetto di «equivalenza terapeutica tra diversi princìpi attivi», non si può fare richiamo al contenuto delle «categorie terapeutiche omogenee (Cto)», essendo queste utilizzate dal legislatore ai soli fini della classificazione e della rimborsabilità dei farmaci. Non è «necessario, ai fini della decisione, verificare se effettivamente i due concetti siano diversi, ma la decisione sulla equivalenza deve essere motivata e deve essere seguito un iter decisionale verificabile».
Le News del Sole 24Ore – 17/06/2016 – Fonte: Federfarma
Al
Con questa motivazione, il Tar del Lazio con le sentenze nn. 6417-6419/2016 depositate il 1° giugno, ha annullato la nota del Direttore generale dell’Aifa n. 44992/P del 28 aprile 2014, avente a oggetto la richiesta di valutazione in ordine all’equivalenza terapeutica tra i medicinali contenenti diversi principi attivi ai sensi dell’articolo 15, comma 11-ter, del decreto legge 6 luglio 2012 n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 135/2012, nell’ambito della nuova procedura di gara per la fornitura di medicinali per le aziende sanitarie locali della Regione Veneto e conseguente verbale della seduta della Commissione tecnico-scientifica per la valutazione dei farmaci dell’Aifa del 7, 8 e 9 aprile 2014.
Tar del Lazio nn. 6417-6419/2016
I fatti. La Regione Veneto proponeva alla Commissione tecnico-scientifica il quesito di equivalenza tereapeutica, ai sensi dell’articolo 15, comma 11-ter, del decreto legge 6 luglio 2012, n. 95, in relazione alla dichiarazione di sussistenza di equivalenza terapeutica sia tra i princìpi attivi “Omeoprazolo”, “Esomeprazolo” e “Pantoprazolo”, appartenenti alla categoria “ATC A02BC (inibitori della pompa protonica)” per le indicazioni del trattamento dell’esofagite da reflusso e delle ulcere duodenali e gastriche, sia tra i princìpi attivi “Leuprorelina” e “Triptorelina”, appartenenti alla categoria “ATC L02AE – Analoghi all’ormone liberante le gonadotropine”, per l’indicazione del trattamento del carcinoma alla prostata e dei suoi secondarismi, in cui sia indicata la soppressione della produzione di testosterone. L’equivalenza terapeutica di detti prodotti è stata affermata dall’Aifa, secondo le aziende, senza dare alcuna pubblicità e con effetti su tutte le Regioni italiane.
I fatti.
Di conseguenza la dichiarazione ha una portata commerciale rilevante per le aziende escluse. Per i ricorrenti inoltre, quanto le valutazioni di equivalenza terapeutica espresse dall’Aifa avrebbero dovuto essere precedute dalla definizione della nozione di equivalenza terapeutica, definizione che non è stata data né dal legislatore né dall’Aifa non risultando a tal fine sufficiente la circostanza dell’utilizzo del medesimo principio attivo né, tanto meno, sarebbe possibile affermarla nel caso di specie nel quale il principio attivo è diverso ed è stato dichiarato, sovrapponibile all’80 per cento.
L’interesse ad agire delle aziende produttrici. Il comma 11-ter dell’articolo 15 del decreto legge 95/2012, inserito dall’articolo 13-bis del decreto legge 18 ottobre 2012, n. 179, affermano i giudici, prescrive che «nell’adottare eventuali decisioni basate sull’equivalenza terapeutica fra medicinali contenenti differenti princìpi attivi, le regioni si attengono alle motivate e documentate valutazioni espresse dall’Agenzia italiana del farmaco», con la conseguenza che il parere reso dalla Commissione tecnico-scientifica, vincolando le Regioni, che da esso non possono discostarsi, è immediatamente impugnabile.
L’azienda, proprio in quanto titolare di Aic di farmaci, ha interesse a censurare la dichiarata equipollenza che ritiene essere affetta da errori insanabili, equipollenza che, pur essendo stata affermata in relazione a uno specifico quesito finalizzato all’indizione di una specifica gara, esprime un principio che potrà poi essere utilizzato in diversa sede e da altri soggetti. Tanto è sufficiente ai fini dell’ammissibilità del ricorso.
In ogni caso, afferma la sentenza, le aziende concorrenti non devono partecipare al procedimento e neppure essere messe a conoscenza della decisione della commissione in quanto la legge non lo prevede.
La sentenza, respinge la tesi delle aziende secondo la quale la mancata individuazione – normativa o regolamentare – della “equivalenza terapeutica tra medicinali contenenti differenti principi attivi” costituisce un vuoto che deve essere colmato dall’Aifa.
Corollario obbligato di tale premessa è che non possono considerarsi illegittime – nella parte in cui definiscono il concetto di «equivalenza terapeutica tra medicinali contenenti differenti principi attivi» – le Linee guida del 6 marzo 2014 e, per illegittimità derivata, il parere reso, in risposta alla richiesta della Regione Veneto dell’11 febbraio 2014, n. 61668, dalla Commissione tecnico-scientifica per la valutazione dei farmaci (Cts) dell’Aifa del 7, 8 e 9 aprile 2014 e fatto proprio dal Direttore generale dell’Agenzia nella nota n. 44992/P del 28 aprile 2014».
Tale conclusione, affermano i giudici, «non toglie che una definizione universalmente applicabile di equivalenza terapeutica tra medicinali con principi attivi diversi sia utile e possa portare ad una applicazione della disciplina più razionale e, soprattutto, più idonea allo scopo perseguito dal legislatore, che è assicurare maggiore uniformità sul territorio dello Stato, eliminando le differenze, a volte sensibili, che si registrano tra Regione e Regione sull’equivalenza tra farmaci e quindi, di riflesso, sui livelli di assistenza sanitaria».
Notizie correlate: TAR del Lazio Sentenza N. 06417/2016
TAR del Lazio Sentenza N. 06419/2016
DECRETO-LEGGE 6 luglio 2012, n. 95