I farmaci generici sono definiti in base alla Legge di conversione n.425 del 8.8.1996, testo coordinato del Decreto legge 20.6.1996 n.323 – GU n.191 del 16.8.1996, come Medicinali a base di uno o più principi attivi, prodotti industrialmente, non protetti da brevetto o certificato protettivo complementare (CPC), identificati dalla denominazione comune internazionale del principio attivo (API), seguita dal nome del titolare della AIC. Inoltre, sono distinti in generici branded [o specialità analoghe] e generici unbranded [principio attivo + nome produttore].
La Legge 8 agosto 1996, n. 425 al comma 3 dell’art. 1 stabilisce che se il generico è offerto a un prezzo almeno del 20 per cento inferiore a quello della corrispondente specialità medicinale già classificata nella classe A, il medicinale generico ottiene dalla Commissione unica del farmaco la medesima classificazione di detta specialità medicinale.
Dal 1° dicembre 2001 è entrata in vigore la nuova disciplina del rimborso da parte del Servizio sanitario nazionale (Ssn) per i medicinali non coperti da brevetto.
Ai sensi del comma 1, art.7 della legge 405/2001 i medicinali non coperti da brevetto sono rimborsati dal Ssn fino alla concorrenza del prezzo più basso del corrispondente farmaco generico disponibile nel normale ciclo distributivo regionale.
La Legge 8 agosto 2002, n. 178, art. 9, comma 5 istituisce le liste di trasparenza cioè l’elenco dei medicinali equivalenti disponibili nel circuito distributivo del territorio italiano
Tali farmaci sono stati poi ridefiniti come Medicinali equivalenti (Legge 149 del 26 luglio 2005), dato che il termine “generico” finiva per essere percepito dall’utilizzatore come simile piuttosto che uguale al farmaco di riferimento.
Alla scadenza del brevetto i prezzi dei prodotti di marca calano del 50-60%. Le aziende di equivalenti generano un fatturato nazionale annuo di 3 miliardi, il 37% dall’export. Gli addetti sono 10mila, il 40% impiegato nella produzione, con 60 aziende attive (il 44% a capitale italiano).
L’azienda titolare dell’autorizzazione all’immissione in commercio (AIC) di un medicinale di cui è scaduto il brevetto, ovvero di un medicinale che ha usufruito di una licenza del brevetto scaduto, può, nei nove mesi successivi alla data di pubblicazione nella G.U. dell’autorizzazione all’immissione in commercio del primo medicinale equivalente, ridurre il prezzo al pubblico del proprio farmaco, purché la differenza tra il nuovo prezzo e quello del corrispondente medicinale equivalente sia superiore a 0,50 euro per i farmaci il cui costo sia inferiore o pari a 5 euro, o se si tratti di medicinali in confezione monodose; sia superiore a 1 euro per i farmaci il cui costo sia superiore ai 5 euro e inferiore o pari a 10 euro, sia superiore a 1,50 euro per i farmaci il cui costo sia superiore a 10 euro.
A decorrere dall’anno 2011, per l’erogazione a carico del Servizio sanitario nazionale dei medicinali equivalenti collocati in classe A ai fini della rimborsabilità, l’AIFA, sulla base di una ricognizione dei prezzi vigenti nei paesi dell’Unione europea, fissa un prezzo massimo di rimborso per confezione, a parità di principio attivo, di dosaggio, di forma farmaceutica, di modalità di rilascio e di unità posologiche. La dispensazione, da parte dei farmacisti, di medicinali aventi le medesime caratteristiche e prezzo di vendita al pubblico più alto di quello di rimborso è possibile previa corresponsione da parte dell’assistito della differenza tra il prezzo di vendita e quello di rimborso. (D.L. n. 78 del 31.05.2010 in Suppl. Ord. n. 114/L , G.U. n. 125 del 31.05.2010, come convertito dalla L. n. 122 del 30.07.2010).
Un pressione eccessiva sui prezzi però può creare un rischio “competizione”, ovvero di una riduzione del numero di imprese in grado di stare sul mercato e competere. Questa non è necessariamente una dinamica negativa, salvo nei casi in cui la competizione si riduca eccessivamente e porti a condizioni di oligopolio o addirittura di monopolio tali da pregiudicare i naturali meccanismi competitivi di mercato.
Esiste un rischio di creazione di costi occulti. Infatti, un eccesso di pressione sui prezzi che porta le aziende a non partecipare alle gare, attiva una serie di dinamiche che aumenta il livello di frammentazione delle gare stesse, tale
per cui per le imprese il monitoraggio e gli oneri tecnico-amministrativi diventano una rilevante voce di costo, che va a incidere sul livello dei prezzi di offerta.
Altro elemento critico nel panorama delle gare ospedaliere è l’incremento dei casi di rottura di stock da parte delle imprese. Per le aziende ospedaliere e per le stazioni appaltanti questo significa un incremento dei rischi di interruzione delle forniture, con conseguenti difficoltà organizzative, logistiche e sanitarie.
Le principali cause di questo incremento sono da attribuire a diversi fattori. In primo luogo, esiste un’oggettiva criticità dal lato dell’offerta: le imprese aggiudicatrici possono andare incontro a diverse difficoltà, che includono l’interruzione delle forniture da parte dei loro sub-fornitori e la sovrapposizione dei picchi produttivi.
In secondo luogo, più aumenta la frammentazione delle procedure di acquisto, più aumenta la difficoltà per le imprese a far fronte ai diversi ordini di fornitura.
A queste si aggiunge il fenomeno delle esportazioni parallele. In sintesi, per alcune imprese produttrici di farmaci può diventare conveniente, nei casi in cui i farmaci da loro forniti alle aziende sanitarie italiane siano richiesti sui mercati internazionali a prezzi più elevati di quelli di aggiudicazione, decidere di vendere all’estero tali prodotti piuttosto che soddisfare le richieste di fornitura nazionali. Si crea così un mercato parallelo che è incrementato anche dai farmacisti (con licenza anche da grossisti) che preferiscono vendere all’estero speculando sul differenziale dei prezzi.
Ma l’elemento probabilmente più critico per le imprese operanti del settore ospedaliero è legato alla nota questione del payback ospedaliero, ovvero al meccanismo secondo il quale le imprese che forniscono le aziende sanitarie e ospedaliere sono costrette, in caso di sfondamento di uno specifico budget assegnato alle stesse da AIFA, a ripianare il 50% dello sfondamento.
Questo meccanismo presenta una serie di criticità che hanno reso da subito la sua applicazione particolarmente complessa, tanto da venire bloccato dal TAR del Lazio e da essere messo al centro di un difficile contenzioso
Innanzitutto, emerge una questione di limitazione della concorrenza. Assegnando budget predeterminati alle imprese si impedisce nei fatti alle stesse di espandere il proprio mercato attraverso la competizione con le altre imprese, creando un effetto di riduzione della competizione e quindi potenzialmente dei risparmi ottenibili dallo stato, nonché costringendo le imprese a un percorso di crescita controllata molto flebile. È da considerare anche il fatto che non si tratta di un mercato che le imprese possono influenzare in termini di quantità consumate, in quanto le imprese partecipano alle gare e le quantità consumate dipendono dalle scelte delle aziende sanitarie.C’è poi un secondo elemento più pratico che ha contribuito alla diffusione delle numerose contestazioni allo strumento del payback, ovvero il metodo di calcolo del payback stesso. È infatti questo l’elemento sul quale le imprese hanno fatto maggiormente leva per bloccarne l’applicazione.
La metodologia di calcolo dei budget assegnati alle imprese non è stata condivisa con le imprese stesse, le quali si sono trovate assegnati budget sui quali non concordano e rispetto ai quali è difficile ricostruire con robustezza metodologica tutti i passaggi.
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