Il paradosso di cui il mercante farmaceutico si fa, dal suo punto di vista, carico, è che più i farmaci funzionano più le malattie diminuiscono, così si vende e si guadagna di meno. Di fatto il mercato della salute deve evitare che i pazienti muoiano o guariscano presto. Sempre più malati in vita, o malati a vita, è il sogno, per nulla proibito, di ogni imprenditore della salute. La prevenzione delle malattie, se non richiede l’uso di sostanze, è controproducente. Dove è possibile (spesso nel campo psichiatrico), la malattia si inventa e se ci sono condizioni che la favoriscono è meglio non stracciarsi le vesti (per l’industria farmaceutica i mali non vengono mai per nuocere).
Essere malati (di qualsiasi cosa, «basta che funzioni») sta diventando, nostro malgrado, cosa a sé dissociata dalla condizione di sanità.
Una preoccupazione permanente che rappresenta una delle chiavi del nostro inserimento impersonale nel registro dei rapporti di scambio mercificanti. La malattia si sta imponendo come fattore di stabilità e questo fa delle cure/non cure mediche un organizzatore potentissimo della vita sociale.
La possibilità di profitti esponenziali gioca un ruolo nella trasformazione della medicina in strumento di conservazione tendenziale dello stato di malattia, che sposta silenziosamente gli investimenti verso le terapie di mantenimento. Tuttavia, i profitti non sono sufficienti da soli a spiegare la perversione generalizzata del rapporto con la salute e la riduzione tendenziale dei dispositivi terapeutici in strumento compiuto di potere puro.
Esiste in ognuno di noi una dimensione psichica in cui lo stato di malattia (reale, potenziale o immaginario che esso sia) è dissociato dal suo decorso e sospeso nel suo esito. Investito narcisisticamente, produce un senso segreto di soddisfazione perché crea la fantasia di una separazione dal mondo reale e le sue frustrazioni, favorendo l’illusione di un mondo centrato su di sé. Il narcisismo è rinforzato dal masochismo che ogni malattia implica: la sfida al dolore e al pericolo di morte o di menomazione che, investita libidicamente, contrasta il desiderio di guarigione e il piacere di vivere.
La sinergia tra una società che produce profitti e una società di invalidi, nella quale essere sani non si distingue in nulla dal sopravvivere, è in cammino e i «governi dei cittadini» dormono tranquilli, fino a quando a suonare la sveglia non sarà l’incubo.
6.11.2015 – Verità nascoste. La rubrica settimanale di Sarantis Thanopulos – il manifesto
N.d.R.: l’articolo riportato (a firma dell’inquietante Thanopoulos, figlio della morte) ripropone la teoria del complotto di BigPharma. Ora possiamo dire tutto il male possibile di BigPharma, non a caso è il settore industriale più screditato presso la popolazione. Lungi da noi difendere queste aziende (si ricordi che hanno licenziato ben 13.400 informatori fra il 2007 ed il 2014), secondo noi però la premessa di questo articolo (o della teoria del complotto) è errata in quanto considera BigPharma come un solo organismo. Non viene presa in considerazione che BigPharma è composta da tante aziende di tante parti del mondo, il cui fine è indubbiamente il profitto, fra loro però in concorrenza. E se un’azienda scopre un farmaco più efficace degli altri in commercio, avrà più profitti (vedasi il caso del Sofosbuvir per l’epatite C).
La popolazione poi invecchia sempre di più, e non ci vuole un grande scienziato per capire che più si è vecchi e maggiori sono le patologie e, se aumentano le patologie, aumenta il “mercato” dei farmaci, senza bisogno di interventi da untori. Magari si può anche pensare che i farmaci possono allungare la vita o per lo meno renderla più dignitosa.
Possiamo poi parlare di corruzione, lobbismo, massimizzazione dei profitti, pressioni indebite, sfruttamento di farmaci poco efficaci, modificazione di parametri fisiologici per renderli patologici, ecc., ma ci dovrebbero essere degli enti preposti al controllo sulla correttezza del mercato farmaceutico e si può ipotizzare che non siano abbastanza efficaci. Ma non possiamo prescindere dal fatto che le aziende farmaceutiche sono in concorrenza fra loro e non esiste un monopolio o un cartello fra esse.