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Il governo e l’industria del farmaco.

Il primo numero, 330, riguarda i dipendenti di un “colosso”, Astrazeneca, che stanno per perdere il posto di lavoro. Un altro numero è 73.700, ovvero il totale degli addetti dell’industria farmaceutica in Italia. Due cifre che raccontano una stessa realtà: la prima evidenzia le difficoltà determinate dalle continue riduzioni dei prezzi dei medicinali; la seconda dà lustro ad un comparto forte, sia per fatturato, sia per importanza visto che per addetti è terzo in Europa (dopo Germania e Francia) e, per consumi, quinto nel mondo.
Quella farmaceutica, è una fetta significativa dell’economia nazionale, anche se non sempre brilla di luce propria. Le aziende italiane, ad esempio, hanno alle spalle una storia travagliata e oggi resistono con fatica all’avanzata delle multinazionali le quali usano il nostro territorio per investire (poco), per produrre e distribuire (molto). Ma l’Italia non va considerata terra di conquista di Big Pharma, anche se la politica dei governi verso le imprese farmaceutiche è stata sempre disattenta, se non addirittura punitiva: i risparmi sulla crescente spesa sanitaria hanno puntato soprattutto al taglio del prezzo delle medicine. Non si può escludere che nei confronti dell’industria del farmaco sia ancora presente un diffuso pregiudizio ideologico (perché fa profitti sulla salute delle persone). Sicuramente hanno pesato (nel giudizio negativo) gli scandali più o meno recenti che hanno fanno emergere illeciti, corruzione, immoralità. Così come vengono duramente – e giustamente – criticati i comportamenti poco etici delle multinazionali che vogliono dettare legge anche nei paesi più poveri della Terra (l’ultimo caso coinvolge la Pfizer denunciata dal governo della Nigeria per aver usato su 200 bambini un farmaco che ha provocato morti o gravi conseguenze: alla Pfizer le autorità nigeriane hanno chiesto un risarcimento di 7 miliardi di dollari).
Ma qualcosa sta cambiando. Almeno in Italia. Gli scandali non frequenti come un tempo, anche grazie al codice interno deciso da Farmindustria. Le imprese poi non pensano solo alla produzione e alla vendita del farmaco perché investono su ricerca e sviluppo, come dicono le cifre: gli addetti sono cresciuti del 2,2 per cento, passando da 6.030 a 6165. Inoltre le aziende esportano molto più della media (9 miliardi e trecento milioni di euro nel 2006) e grazie ai loro acquisti diretti generano occupazione in altri settori per 55mila persone. Ecco perché il presidente di Farmindustria chiede da tempo una politica che permetta alle imprese di pianificare forti investimenti.
La risposta agli industriali è stata data anche fisicamente: all’assemblea dell’associazione erano in prima fila il presidente del Consiglio, il ministro della Salute, il ministro dello Sviluppo economico. Mai nel passato un governo aveva partecipato così autorevolmente all’incontro del settore. Segno di una diversa attenzione. Paradossalmente sotto Berlusconi sono avvenute 16 delle 18 manovre sui prezzi decise negli ultimi cinque anni. Ora c’è l’intenzione di cambiar passo, coniugando tutela della salute, sostegno della ricerca e controllo della spesa. Resta da vedere se il riconoscimento del ruolo, del peso, del valore della farmaceutica troverà riscontro nel Dpef e nella Finanziaria.
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Il ministro Livia Turco ha presentato i dati ufficiali su tre anni di applicazione della legge 40 sulla fecondazione assistita. I risultati? Sconfortanti, preoccupanti: la percentuale di gravidanze è scesa di 3,6 punti percentuali che in assoluto vuol dire 1.041 gravidanze in meno. Non siamo tornati al Medioevo – come sostiene qualche ginecologo – però la legge 40 di sicuro non facilita le nascite di bambini. Forse chi sostiene la famiglia dovrebbe rifletterci su.
g.pepe@repubblica.it

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