Le prime avvisaglie della crisi che morderà sempre di più arriveranno già nei primi mesi dell’anno con l’annuncio di almeno altri 2mila esuberi. Ma tutte le previsioni continuano a indicare tempesta al barometro della farmaceutica made in Italy: la spesa pubblica in calo di un altro 3%, il mercato interno totale in flessione, il valore della produzione in perdita dell’1-1,5%, la redditività che secondo Prometeia sarà più bassa del 20-25% rispetto a due anni fa. Perfino il jolly dell’export, da tempo il fiore all’occhiello del settore, pur mantenendo un segno positivo, è destinato a piegarsi ancora. Dopo un 2012 di crisi, anche il 2013 si annuncia un anno da vivere pericolosamente per la farmaceutica italiana.
«Lasciamo un 2012 molto negativo per la continua pressione e gli sforzi chiesti ripetutamente al nostro settore dai provvedimenti del Governo e delle Regioni. Il 2013, se va bene, sarà allo stesso livello dell’anno prima. Se va bene. Il rischio è che vada anche peggio»: Massimo Scaccabarozzi, presidente di Farmindustria, non riesce a fare professione di ottimismo nel leggere le previsioni sui fondamentali del settore. Scorre i dati che gli sono stati appena consegnati e commenta amaramente: «No, davvero, il 2013 non lo vedo come l’anno del rilancio. Lo vorremmo tanto, per noi, per il Paese che ne ha bisogno. Ma se il prossimo Governo non farà quello che serve, sarà un disastro. Altro che competitività e tante belle parole sul valore della ricerca e dell’innovazione. Ora è tempo di fatti e di azioni, non di parole e promesse». Già, perché anche la farmaceutica guarda con molta attenzione ai prossimi passaggi politici italiani. Con le ultime manovre ha subito ripetute stoccate a suon di tagli miliardari. Ha dovuto digerire (con qualche ripescaggio di facciata) anche la prescrizione per principio attivo, una battaglia in più persa contro i risparmiosi generici che ormai in tutto il mondo stanno sbancando alle casse delle farmacie. I blockbuster non nascono più, scadono i brevetti, e così i farmaci di marca fatalmente perdono terreno e mercato. L’era dell’oro è finita, la riconversione e il ripensamento del settore è la vera sfida in tutto il mondo. Con i Paesi del Bric, ma anche Israele per i generici, che ormai dettano legge e battono banco: basti pensare che nel 2011 il fatturato mondiale nelle economie avanzate è stato di 697 miliardi di dollari e di 258 miliardi quelli dei Paesi del Bric, con una crescita che nel 2016 sarà di 22 miliardi nelle prime e invece di 183 miliardi nel Bric.
E così l’industria guarda al suo futuro in Italia. E a quel famoso tavolo di rilancio della politica industriale che ha ripreso a lavorare col Governo di Mario Monti, sotto l’impulso del sottosegretario allo Sviluppo, Claudio De Vincenti. «Sono state gettate le premesse del lavoro da fare e del percorso da seguire», ammette Scaccabarozzi. Ma aggiunge subito: «Ci auguriamo che ci sia la volontà di proseguire su questa strada. Nessun Governo può prendersi la responsabilità di mandare definitivamente gambe all’aria il valore e la presenza industriale in Italia di un’industria vitale per l’economia nazionale, come fanno tutti i Paesi industrializzati, e non solo loro».