Troppo spesso la sperimentazione clinica esclude chi ha più di 65 anni, anche se questi consumano il 55 per cento delle medicine.
E così ci si trova a fare iconti con gravi effetti tossici. Sotto accusa l’abuso di tranquillanti. La ricerca clinica dovrebbe riguardare tutti i soggetti, inclusi i bambini, le donne e gli anziani, mentre invece tende a essere sostanzialmente una sperimentazione sull’adulto giovane. Infatti gli anziani sono spesso esclusi dalla sperimentazione clinica: ad esempio, in un recente studio su circa 10.000 pazienti reclutati per studiare farmaci contro l’osteoartrite, solo il 2 per cento era rappresentato da soggetti che avevano superato i 65 anni e praticamente nessun paziente aveva più di 75 anni. Questa situazione non riguarda solo le malattie delle ossa, ma anche molti altri campi della medicina. In realtà, studiare i farmaci nell’anziano è fondamentale. Basti pensare, per esempio, che il 55 per cento di tutto lo spettro delle prescrizioni farmaceutiche è indirizzato proprio a questi soggetti che. paradossalmente, sono invece i meno considerati sul reale beneficio del trattamento e. ancor meno, sugli eventuali effetti tossici. Perché? Perché il paziente anziano non è omologabile al paziente adulto giovane. Per varie ragioni. Vediamo. Anzitutto l’assorbimento del farmaco nell’anziano è più esposto ad ampia variabilità: la diminuzione della funzione renale, che è in generale proporzionale all’età, determina una forte riduzione della escrezione del medicinale o dei metaboliti idrosolubili, con il risultato di avere un aumento delle quantità del farmaco nel sangue e quindi un possibile aumento anche degli effetti tossici. Non solo: nell’anziano cambiano la distribuzione e il metabolismo dei farmaci e possono cambiare anche i bersagli su cui agiscono. Una diminuzione dei recettori potrebbe comportare una variazione dell’attività dei farmaci. anche a parità di concentrazioni nel sangue. Sembra logico perciò ritenere che abbiamo poche informazioni sulle dosi ottimali dei farmaci da impiegare negli anziani, semplicemente perché non sono mai state studiate. Si rischia così, a seconda dei casi, di avere una ridotta efficacia, oppure di ottenere un’aumentata tossicità rispetto agli studi effettuati nel paziente adulto giovane. Una seconda differenza fra adulti e anziani dipende dal fatto che gli anziani sono spesso portatori di più patologie. Possono avere avuto un infarto, avere problemi di circolazione, essere diabetici al tempo stesso e perciò essere già in trattamento con più farmaci e, si sa, l’impiego di più medicine non corrisponde necessariamente a maggiori benefici. Spesso diventa imprevedibile Molto spesso gli anziani sono anche portatori di più patologie: gli effetti di più farmaci possono causare situazioni imprevedibili per l’organismo. l’effetto del farmaco nel bene (efficacia) e nel male (tossicità). Capita anche, a complicare la situazione, che il paziente anziano assuma farmaci non sottoposti a prescrizione medica. Per esempio integratori alimentari, antiossidanti, come pure prodotti acquistati in erboristeria; può essere necessario utilizzare lassativi oppure espettoranti o dimagranti. Tutto ciò crea nell’organismo situazioni imprevedibili. Una terza differenza riguarda l’impiego di psicofarmaci nell’anziano. È tipico l’abuso di tranquillanti e antidepressivi, soprattutto nelle istituzioni residenziali. Se dati senza precisa finalità, peggiorano la qualità di vita degli anziani, rendendoli poco reattivi con peggioramento della memoria, della forza muscolare, con più rischi di cadute. In conclusione, è tempo che aumentino gli studi clinici controllati, con l’utilizzo p