Senza un piano di rilancio, l’industria farmaceutica italiana è destinata a sparire. Lo sostiene il presidente di Farmindustria, Massimo Scaccabarozzi, chiamando in causa la costante discesa del mercato interno – meno 3,3% nel 2012 – ma soprattutto le condizioni complessive di competitività dell’Italia, dove le imprese lavorano con la zavorra al collo e giorno per giorno si interrogano: “Perché non delocalizzare?”. Alla domanda hanno risposto in primis, nel corso degli ultimi anni di crisi, le tante multinazionali storicamente insediate con stabilimenti e laboratori nelle aree attorno a Roma e a Milano. E difatti molti tra di loro hanno scelto di alleggerire la presenza e il rischio in Italia, riducendo impianti e addetti. Tra i giganti che figurano negli elenchi confindustriali basti ricordare per esempio Bayer, Gsk, Roche, Aptuit, Sanofi, Dompè. Ecco che, a fronte degli attuali 65mila addetti censiti nel settore (il 90% dei quali con laurea), la statistica ricorda come fossero 10mila in più nel 2008. Il tutto in un’industria che grazie anche ai Big Pharma esporta il 61% della produzione e che investe ogni anno 2,4 miliardi di euro, di cui la metà circa in ricerca. (p.pos.)
24 giugno 2013 –