La nostra spesa farmaceutica continua ad aumentare. Ma con pochi provvedimenti si può arginarla
Nell’ultimo decennio si è assistito a una straordinaria escalation del prezzo dei farmaci. Riguarda soprattutto i cosiddetti «biologici», prodotti con metodi non di sintesi chimica e che si rivolgono soprattutto ai tumori e alle malattie rare.
Il “che fare” non è molto semplice, perché l’industria farmaceutica, con una legislazione favorevole e una ben orchestrata pressione pubblicitaria, riesce a superare vittoriosamente tutte le barriere della negoziazione.
Vediamo, allora. Basterebbe richiedere una maggior severità nell’approvazione dei nuovi farmaci per evitare tanti prodotti che non sono migliori di quelli esistenti. Si potrebbe, per esempio, prestabilire una cifra ben definita (sostenibile!) sulla base di un determinato beneficio, accertato da precisi parametri (come il «vantaggio di un anno di buona qualità di vita dovuto al farmaco»).
Oggi, poi, si approva un farmaco in sede europea e poi si discute il prezzo a livello nazionale. Sarebbe molto più forte la pressione per ottenere prezzi più equi se l’Europa fosse compatta. E ancora: nei casi in cui l’industria si dimostrasse estremamente esosa per certi farmaci che rappresentano dei salvavita, come quelli contro l’epatite C, si potrebbe anche procedere, in varie forme, alla temporanea abolizione del valore del brevetto nell’interesse della salute pubblica.
Il tema va affrontato seriamente, perché anche in Italia il prezzo dei farmaci continua ad aumentare percentualmente rispetto alla spesa globale sanitaria. Senza poi contare che ormai noi siamo soltanto un appetibile mercato, perché le multinazionali farmaceutiche non investono più direttamente in ricerca, avendo ricollocato i propri laboratori in altre parti del mondo.
Silvio Garattini – OGGI – 2/12/2015 Pubblicato 25/11/2015
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