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Fuga di brevetti, oltre 200 finiscono all’estero e l’Italia perde un miliardo di euro

Fuga di cervelli, ma anche di brevetti. Nonostante si producano nel nostro Paese studi scientifici che per quantità e qualità sono superiori alla media Ocse (siamo all’ottavo posto nel mondo), solo una minima parte si traduce in brevetti, produzione industriale e quindi ricchezza: 9 volte meno che in Danimarca, 7 volte meno che in Usa, 4 volte meno di Germania, Francia e Spagna. Anche questa difficoltà a concretizzare le ricerche fa fuggire molti nostri giovani ricercatori all’estero. E con loro l’Italia perde almeno un miliardo di euro l’anno: tanto rendono i 243 brevetti prodotti dai nostri migliori 50 ricercatori ai Paesi dove sono andati a lavorare, secondo i dati Ocse, Anvur (Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca) e I-Com (Istituto per la competitività).

Con l’obiettivo di creare un luogo in cui sia possibile tradurre la ricerca scientifica in brevetti, lavoro e produzione industriale, è stato creato il Laboratorio di ricerche biomediche di Catania, frutto di una collaborazione pubblico-privato che vede impegnate l’Università di Catania, La Sapienza di Roma ed Eli Lilly. La struttura può inoltre contare sui fondi europei del Pon (Programma operativo nazionale) per il primo progetto portato avanti.

Un’iniziativa rara nel nostro Paese, tanto più di valore perché realizzata nel Sud Italia, dove i cervelli non mancano, ma le opportunità sì. “Per invertire la tendenza – afferma Giacomo Pignataro, rettore dell’Università di Catania – l’impegno delle istituzioni formative e di ricerca dev’essere volto a creare occasioni di crescita e di inserimento, in grado di valorizzare le competenze e le abilità dei nostri giovani laureati”.

Nei primi 24 mesi di attività il Laboratorio di Catania ha concluso il suo primo progetto di ricerca, con l’obiettivo principale di sviluppare nuovi kit diagnostici per la valutazione di marcatori del metabolismo osseo, utili per identificare alterazioni del metabolismo scheletrico in soggetti con patologie come l’osteoporosi, che interessa, soltanto in Italia, 4 milioni e mezzo di persone. I risultati hanno consentito l’individuazione di un metodo diagnostico della patologia osteoporotica ed è stato avviato l’iter per la tutela brevettuale.

Questo risultato – commenta Andrea Lenzi, presidente Cun e coordinatore scientifico del progetto Pon – rappresenta da un lato un esempio reale e virtuoso di utilizzo dei fondi Pon per dare avvio a una attività di ricerca in tempo rapidissimo nella sede di Catania, dall’altro una collaborazione fra finanzianti pubblici e privati, che cooperando assieme danno avvio ad un’inversione di tendenza nella dicotomia fra le due fonti”.

“Uniti si vince – dichiara Massimo Scaccabarozzi, presidente di Farmindustria – e lo dimostrano i risultati ottenuti dal Laboratorio di ricerche biomediche all’Università di Catania a soli due anni dall’inaugurazione. Costruendo sinergie virtuose, con un quadro stabile e regole certe, l’Italia, con i suoi ricercatori di eccellenza, ha tutto il know how per giocare la partita da protagonista”. Non solo. “Serve, allo stesso tempo, un sistema che tuteli proprietà intellettuale, brevetto e marchio, sia per incentivare i cervelli che si trasferiscono all’estero a rientrare nel nostro Paese, sia per attrarre le migliori intelligenze internazionali”, sottolinea.

Pubblicato il: 22/10/2015 – adnkronos

Redazione Fedaisf

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