Fondi pensione, ecco perché con la riforma fiscale c’è il rischio di una stangata
Corriere Economia – 25 agosto 2021
Come funziona oggi
Tradotto: oggi siamo nel cosiddetto sistema Ett cioè esente, tassato, tassato. In pratica esente significa che si può versare ai fondi pensione fino a 5.164 euro deducendoli dal reddito e quindi beneficiando di uno sconto fiscale pari al valore dell’aliquota marginale (esempio con una aliquota fiscale marginale del 32% versando 5.164 euro, si risparmiano 1.652,5 euro di tasse). Sui rendimenti c’è un prelievo annuale con aliquota ridotta pari al 20% rispetto al 26% ordinario (12,5% per i titoli di Stato e assimilati); in origine era l’11%. Le prestazioni in rendita e capitale sono tassate con aliquota sostitutiva tra il 15% e il 9% per incentivare la permanenza nei fondi. Il meccanismo è semplice: dopo il 15° anno per ogni anno successivo la tassazione si riduce dello 0,3% fino a raggiungere il 9%.
Cosa può cambiare
La Commissione invece ritiene la tassazione «…nella fase di prestazione con un meccanismo molto complesso». Fate voi se è così complesso; lo hanno capito tutti, tant’è che si tratta di un grande incentivo se si considera il differenziale tra l’aliquota fiscale che si detrae quando si versa e la tassazione finale. Ad esempio la detraibilità con la prima aliquota è del 23% quindi 14 punti più alta della tassazione finale. Ma l’adozione dell’aliquota sostitutiva, che ho fortemente voluto quando ho scritto la legge di riforma del sistema previdenziale, il Decreto legislativo n. 252/2005, per riparare i danni della legge 47/2000 di Visco, è che i redditi da fondi pensione non si cumulano con altri proventi e soprattutto con quelli della pensione pubblica. Passare al criterio Eet — esente esente tassato — come propongono le Commissioni presiedute da Luigi Marattin e Luciano D’Alfonso, significa togliere la tassazione del 20% sui rendimenti (20% di un rendimento del 3% è 0,6%) e tassare ad aliquota marginale (cumulo dei redditi) le prestazioni finali: insomma ci tolgono lo 0,6% e ci fanno pagare fino al 46%. Con l’aggravante che la normativa italiana prevede una enormità di bonus, esenzioni, agevolazioni fiscali (le tax expenditures), tutte legate al reddito e dove il 51% dei pensionati sono totalmente o parzialmente assistiti e un altro 20% gode di prestazioni aggiuntive anch’esse collegate al reddito e che scomparirebbero se il soggetto avesse anche la rendita complementare.
Un boomerang
a) il decreto legislativo, oltre che essere approvato da Camera e Senato con ampia votazione fu il risultato della firma di un protocollo preliminare tra governo e oltre 30 parti sociali (un fatto raro nella storia italiana) al fine di consentire finalmente lo sviluppo dei fondi pensione;
b) siccome i lavoratori non hanno l’anello al naso, quando si introdusse la tassazione ordinaria delle prestazioni complementari, si verificò il blocco delle adesioni. Il ragionamento di operai e impiegati, ovviamente meno sofisticato dei parlamentari ma più pratico fu il seguente: «oggi verso e mi fanno lo sconto ad aliquota marginale ma tra 10 anni, quando prenderò la rendita pensionistica complementare, se si somma alla pensione pubblica l’aliquota fiscale aumenta e tutti i vantaggi acquisiti nella fase di versamento li risputo con gli interessi nella vecchiaia».
Autore: Alberto Brambilla
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Lo sviluppo dei fondi pensione è indispensabile per i cittadini e per il Paese e, di conseguenza, bisogna fare “tutto ciò che è necessario” perché aumentino le adesioni visto che siamo tra gli ultimi nelle classifiche OCSE e che la pensione pubblica potrebbe non bastare per via dei bassi redditi da lavoro. Cosa fare? Anzitutto è necessario che la politica non faccia confusioni come fanno le Commissioni quando dicono che l’obiettivo della riforma dev’essere: “la crescita dell’economia”. Difficile far crescere i fondi pensione aumentando le tassazione e confondendo il risparmio finanziario con quello previdenziale, come ha fatto il governo Renzi (quello che ha proposto il TFR in busta paga, un flop per merito dei lavoratori). Semmai, occorre il ripristino del fondo di garanzia perché la sua eliminazione a cura di Prodi e Damiano ha negato agli oltre 6 milioni di lavoratori di micro e piccole imprese il diritto alla pensione complementare. La riforma fiscale deve ridurre la tassazione sui rendimenti all’11% (e anche meno), portandola da annuale al “maturato”, e aumentare il versamento di 5.164 euro l’anno, importo fermo dal 2005, in base alla variazione dei prezzi. E, poiché il fondo pensione è un ottimo libretto di risparmio, favorirne l’adozione da parte dei giovanissimi, incentivando i versamenti da parte di nonni, zii e parenti attraverso la deduzione fiscale.
Ma di tutto ciò non c’è traccia nel discutibile documento che come nella migliore tradizione di chi si sente “progressista” prevede solo un aumento delle tasse. La speranza è che il governo Draghi, competente ed equilibrato, non tenga conto del parere delle Commissioni.
Alberto Brambilla, Presidente Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali
Il Punto Pensioni & Lavoro 12/7/2021
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