Il mondo sindacale e dei comparti di categoria in rivolta per le proposte del governo sulla portabilità. I presidenti di Cometa e Fonchim: è rivalità sleale.
Valerio Baselli 27/02/2015 | MORNINGSTAR
“Dopo le batoste arrivate dalla Legge di Stabilità (più tasse e Tfr in busta paga, Ndr) , ecco un altro duro colpo alla previdenza complementare”. A dirlo è Anna Trovò, ex Cisl oggi presidente del fondo Cometa (dedicato ai lavoratori metalmeccanici e affini; 416 mila iscritti e 8,1 miliardi di euro in gestione a fine 2013).
L’oggetto della discussione è il Ddl sulla concorrenza approvato il 21 febbraio dal Consiglio dei Ministri, che, tra l’altro, introduce la piena facoltà di portabilità per i lavoratori (art. 15) dei propri contributi pensionistici, eliminando la possibilità per i contratti di lavoro nazionali di inserire vincoli e condizioni anche in relazione alla quota di spettanza del datore di lavoro. Viene rimosso anche il vincolo, per il fondo, di trovare sottoscrittori solo all’interno della categoria professionale di riferimento.
Per ora solo proposte
C’è da dire che, trattandosi di un Disegno di legge, dovrà essere approvato dal Parlamento seguendo un percorso legislativo anche abbastanza lungo.
“Spero che chi ha promosso queste novità rifletta sulle conseguenze e ritorni sui suoi passi”, continua Trovò. “Questo Ddl è sbagliato e contraddittorio, perché si cerca di trattare in ugual modo degli strumenti profondamente diversi, come i fondi di categoria e i Pip, e soprattutto si annulla il potere e la volontà contrattuale delle parti sociali”. In sostanza, l’accusa che arriva dal mondo dei fondi negoziali e dai sindacati e che queste proposte facciano gli interessi di banche e assicurazioni, più che dei lavoratori.
Il punto più discusso è senza dubbio la portabilità del contributo datoriale. “Il contributo è un atto volontario che deriva dalla contrattazione tra il datore di lavoro e il sindacato, e che quindi si base su delle precise condizioni anche di gestione del fondo; con questa legge il datore di lavoro sarebbe obbligato a darlo a prescindere, ledendo così il ruolo della contrattazione collettiva”, commenta Ortolani. Il pericolo per i fondi di categoria non è nella convenienza, visto che in genere hanno costi più bassi non avendo scopi di lucro; il pericolo è un’eventuale emorragia di aderenti verso tipologie di strumenti offerti da banche e assicurazioni che possono contare su forti leve di marketing e su una fitta rete di operatori. “Se verrà approvata questa norma, scatterà la corsa dei promotori finanziari non verso chi oggi non ha una pensione di scorta, ma paradossalmente verso chi ce l’ha già e può contare sul contributo datoriale”.
Ma avere più possibilità di scelta non è positivo per i lavoratori? “Sì, ma prima di liberalizzare occorre dare gli strumenti ai lavoratori per comprendere e informarsi e questo non è mai stato fatto. Oggi la capacità di scelta non è diffusa”, risponde Trovò.
Meglio riferirsi una categoria precisa
Anche l’eliminazione del vincolo per i fondi negoziali di trovare iscritti solo all’interno di determinate categorie di lavoratori non sembra entusiasmare l’industria. “Per noi è più utile avere una popolazione di riferimento definita, crea meno confusione e rende la contrattazione più chiara”, afferma Trovò. “In Italia c’è il caso di un comparto a cui aderiscono diverse categorie di lavoratori, il Fondo Solidarietà Veneto, ma in questo caso sono previste sezioni separate”, spiega Ortolani. “Allora così potrebbe avere un senso, altrimenti no”.
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