Fra le misure allo studio per raggiungere il pareggio di bilancio nel 2013 vi è un ulteriore inasprimento dei ticket, soprattutto in caso di ricoveri ospedalieri «impropri». È facile prevedere che ciò alimenterà un nuovo vespaio di polemiche. Sulla scia dell’ aumento già deciso con la manovra di luglio, da settimane le Regioni lamentano l’ ennesima intromissione del governo centrale in un settore di loro competenza. L’ opposizione e i sindacati hanno denunciato il carattere socialmente iniquo dei nuovi ticket. La Lega ha chiesto di eliminare gli aumenti introducendo una nuova accisa sul tabacco. Esperti e commentatori hanno infine puntato il dito contro uno strumento considerato poco efficace, che crea per giunta disparità di trattamento fra i residenti di diverse regioni. In ciascuna di queste prese di posizione c’ è un grano di verità. Tutte eludono però una domanda che sta a monte di ogni critica specifica: può l’ Italia permettersi una sanità pubblica incondizionatamente gratuita? La risposta è no. Non con i vincoli di bilancio che abbiamo e non con i nostri andamenti demografici. Può ben darsi che i ticket attualmente vigenti non siano quelli più equi ed efficienti: è perciò utile discuterne. Ma senza l’ illusione di poterli eliminare e spiegando con chiarezza ai cittadini i termini della questione. La spesa sanitaria italiana è cresciuta rapidamente nell’ ultimo decennio e ora è in linea con la media Ue. Rispetto agli altri Paesi spendiamo di più in farmaci e ospedali, di meno per i servizi sul territorio, in particolare quelli per la non auto-sufficienza. L’ invecchiamento demografico farà aumentare la domanda di servizi, ma i margini per aumentare le risorse pubbliche sono strettissimi. Lo Stato e le Regioni potrebbero fare a chi ne ha la possibilità (buona parte del ceto medio) la seguente proposta: ti chiedo oggi un contributo più elevato su tutte le prestazioni, ma non ti lascio solo se domani diventerai non auto-sufficiente. I ticket esistono in tutta Europa e sono in genere più alti che in Italia. Prendiamo la Svezia, modello di welfare generoso e inclusivo. Lì si paga l’ intero costo dei farmaci fino a 94 euro. Solo quando la spesa supera i 450 euro annui i farmaci diventano completamente gratuiti. Ogni visita dal medico di base costa fra i 10 e 20 euro, 35 dagli specialisti. Si paga infine il ticket anche per i ricoveri ospedalieri: 10 euro al giorno. Gli standard qualitativi della sanità svedese sono alti, ma più o meno paragonabili a quelli del nostro Centro-Nord. È però diversa l’ articolazione interna del servizio sanitario, molto più attrezzato a rispondere alle patologie cronico-degenerative. La lezione svedese è chiara: sanità universale non vuol dire servizi gratuiti per tutti, ma copertura equilibrata dell’ intera gamma di bisogni connessi alla salute, con appropriati «biglietti d’ ingresso». È ovvio che per realizzare un sistema alla svedese occorrono molti ingredienti, ma i contributi finanziari degli utenti sono uno di questi. Ben venga anche un aumento delle accise sul tabacco: non al posto dei ticket, ma per reperire risorse aggiuntive di cui abbiamo disperato bisogno. In tutti i Paesi le compartecipazioni prevedono regole di esenzione. Il nostro sistema fa però acqua da tutte le parti. Quasi la metà degli italiani non paga il ticket. Sulla base dei dati disponibili è difficile fare stime precise: ma è assai probabile che fra i 28 milioni di cittadini esenti ci siano molti «falsi positivi», ossia persone che dichiarano redditi più bassi di quelli reali o che pur essendo esenti per patologia o per età avrebbero i mezzi per pagare una parte dei costi. È da notare che a fronte di
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