Solleva più dubbi di quelli che scioglie la sentenza con cui, la settimana scorsa, il Tar Lazio ha negato l’esistenza di restrizioni alla pubblicità sui cosiddetti Sop, i farmaci senza obbligo di ricetta riservati al consiglio del farmacista. L’intervento dei giudici fa riferimento al ricorso presentato nell’autunno 2015 da Kwidza Pharma Gmbh e Chefaro Pharma, per impugnare il provvedimento del Ministero che negava l’autorizzazione alla pubblicità a un antitussivo prodotto dall’una e commercializzato in Italia dall’altra. Il dicastero, a dirla tutta, aveva in un primo momento accolto la richiesta, salvo fare poi dietrofront una volta accortosi che il farmaco era un Sop. La rettifica, tuttavia, non è piaciuta alle due aziende che l’hanno così impugnata davanti al Tar.
Se i giudici laziali danno ragione ai ricorrenti è perché – come si legge nella sentenza – non si ravvisa nell’ordinamento italiano «la sussistenza o meno del divieto di pubblicità presso il pubblico di medicinali non soggetti a prescrizione medica ma non appartenenti alla categoria dei medicinali di automedicazione (Otc, ndr)». In altri termini, non ci sarebbe una norma che escluda esplicitamente la comunicazione al pubblico per i Sop. A tale conclusione il Tar giunge dopo una consultazione analitica delle leggi vigenti: il d.lgs 539/92, per esempio, stabilisce all’articolo 3 che i farmaci senza obbligo di prescrizione «possono essere oggetto di pubblicità presso il pubblico ove abbiano i requisiti stabiliti dalle norme vigenti in materia e purché siano rispettati i limiti e le condizioni previsti dalle stesse norme»; il d.lgs 537/93, all’articolo 8, divide i medicinali per classi distinguendo tra «farmaci essenziali e per malattie croniche», «farmaci di rilevante interesse terapeutico», «altri farmaci» privi delle caratteristiche indicate in precedenza e «farmaci non soggetti a ricetta medica con accesso alla pubblicità al pubblico». Infine, il d.lgs 219/2006 (in attuazione della direttiva 2001/83/CE) torna a specificare che «i farmaci non soggetti a prescrizione» sono quelli che per caratteristiche si differenziano dai medicinali con obbligo di ricetta e «possono essere oggetto di pubblicità presso il pubblico se hanno i requisiti stabiliti dalle norme vigenti».
Secondo il Tar, in particolare, è emblematica soprattutto quest’ultima disposizione, dalla quale discenderebbe «che il legislatore non ha inteso differenziare ai fini della pubblicità le due subcategorie (Sop e Otc, ndr)», perché altrimenti tale finalità sarebbe stata esplicitata «in modo chiaro e diretto». «Tale interpretazione» continuano poi i giudici «risulta avvalorata dalla circostanza che nessuna previsione di legge è intervenuta a stabilire rigorosamente» requisiti e caratteristiche dei farmaci che, nell’ambito dei Sop, sono autorizzati alla pubblicità. Anzi: lo stesso d.lgs, all’articolo 115, esclude a chiare lettere dalla comunicazione al pubblico i farmaci con obbligo di ricetta e quelli rimborsati dal Ssn, ma non dice niente a proposito di Sop. E la stessa direttiva 2001/83/CE, dalla quale la 219/2006 discende, «non prevede alcuna discriminazione in materia di pubblicità per i farmaci non da banco».
Come detto, la sentenza suscita parecchi punti interrogativi e probabilmente originerà strascichi. Ancora non sono giunti commenti ufficiali ma è difficile che il Ministero – difeso davanti al Tar laziale dall’avvocatura di Stato – non reagisca. Anche Federfarma ha trasmesso la sentenza ai propri consulenti legali perché valutino tutte le ricadute, anche se tra le affermazioni dei giudici qualche passaggio positivo per la farmacia c’è: per esempio, laddove si afferma che «un consumo responsabile e documentato dei farmaci Sop deve essere razionalmente perseguito imponendo rigorose prescrizioni al messaggio pubblicitario», con un richiamo quindi al legislatore perché garantisca una “qualità” della comunicazione pubblicitaria sulla quale da tempo anche Federfarma insiste. Ma per radiografare in tutti i suoi passaggi la sentenza ci vorrà qualche tempo.
(AS – 05/07/2016 – Federfarma)
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